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Mi ricordo. Io mi ricordo capelli bianchi e colorati cappelli.
Mi ricordo dei viaggi sgarrupati e i sorrisi innaffiati dalla pioggia.
Del baule colmo di vestiti di scena, e le maschere che mai più hai voluto indossare dalla notte in cui l’amico di sempre finì di recitare l’ultimo copione in scena.
Mi ricordo.
Io mi ricordo delle doppie razioni di pasta che mangiavamo con piacere, delle sere trascorse a suonare a perdifiato, delle tue dita che correvano su quelle corde tese,
e le tue chitarre, e quella che mi prestasti affinché potessi in qualche modo imparare.
E mi suonano vicine come fossi qui accanto le parole con cui mi coccolavi nel cortile della nonna. E mi ricordo della volta in cui da bambino ribelle mi rifiutai di mettere quella strana parola “zio” davanti al tuo nome, che da allora è venuto sempre fuori dalle mie labbra come quello di un amico.
Di musiche e maschere, di cammini e ritorni.
Sono ricordi lontani quelli, offuscati dal tempo che li piega e me li rende. Qui. In questa stanza che non ha nessun sapore di quello che è stato. Lontano da casa.
Mi ricordo.
E mi ricordo anche le parole che di nascosto sussurrasti alle orecchie di mia madre la prima volta che me ne andai, e quelle che ci siamo scambiati negli ultimi viaggi, quando rintuzzavi i colpi della vita con i soliti sorrisi beffardi.
Mi ricordo.
Mi ricordo dell’ultima volta come fosse destino che due logorroici chiudessero le fila di un discorso senza sprecare nessuna parola. Non era necessario farlo.
E gli occhi che sanno dire senza alzare la voce, e i tuoi che dispiaciuti rendono l’onore delle armi.
Mi ricordo.
Io Pippo me lo ricordo bene.