Se ho capito bene, lei mi chiede perché non abbia scelto semplicemente il silenzio, invece di girargli attorno, e mi rimprovera di profondermi in lamenti quando farei meglio a tacere. Tanto per cominciare, non tutti hanno la fortuna di morire giovani. Il mio primo libro l’ho scritto in rumeno, a ventun anni, ripromettendomi per il futuro di non scrivere più niente. Poi ne ho scritto un altro, seguìto dallo stesso proposito. La commedia si è ripetuta per più di quarant’anni. Il motivo? Il motivo è che lo scrivere, per poco che valga, mi ha aiutato a passare da un anno all’altro, perché le ossessioni espresse si attenuano e in parte vengono superate. Sono certo che se non fossi stato un imbrattacarte mi sarei ucciso da un pezzo. Scrivere è un enorme sollievo. E pubblicare anche. Le sembrerà ridicolo, eppure è verissimo. Un libro è la tua vita, o una parte della tua vita che ti rende estraneo. Ci si libera contemporaneamente di tutto quello che si ama e soprattutto di tutto quello che si detesta. Le dirò di più: se non avessi scritto, sarei potuto diventare un assassino. L’espressione è una liberazione. Le consiglio di provare questo esercizio: quando odia qualcuno, quando le viene voglia di farlo fuori, prenda un pezzo di carta e scriva che X è un porco, un bandito, un farabutto, un mostro. Si renderà subito conto di odiarlo meno. E proprio quello che ho fatto io. Ho scritto per ingiuriare la vita e per ingiuriare me stesso. Il risultato? Mi sono sopportato meglio, e ho sopportato meglio la vita.