Notturno cileno
– Roberto Bolaño, 2016 – Adelphi – pp. 123 – € 15,00.
Potentissimo incipit. «Ora muoio, ma ho ancora molte cose da dire. Ero in pace con me stesso. Muto e in pace. Ma all’improvviso le cose sono emerse […] Bisogna essere responsabili. È tutta la vita che lo dico. Abbiamo l’obbligo morale di essere responsabili delle nostre azioni e anche delle nostre parole e perfino dei nostri silenzi, sì, dei nostri silenzi, perché anche i silenzi salgono al cielo e Dio li sente e solo Dio li comprende e giudica, per cui molta attenzione ai silenzi.» Fiume in piena, in un romanzo che è attraversamento della storia, della letteratura, dell’anima di un paese, dall’anima di un uomo che lo vede scivolare agli inferi, o più propriamente nella merda. È il canto del cigno di chi ama la sua terra nonostante l’abbia vista depredata. È nell’abbandono concepito come opportunità, nell’ipocrisia come stile di vita, nel trasformismo come ideale che l’animo umano si svende e scivola nella fogna. O forse l’animo umano sta nell’abbandono, nell’ipocrisia, nel trasformismo, nella merda?