Vite minuscole
– Pierre Michon, 2016 – Adelphi – pp. 203 – € 18.
“Era più scrittore di me, all’assenza della lettera preferiva la morte. Io, invece, a malapena scrivevo; né osavo morire, abitavo la lettera imperfetta, la perfezione della morte mi terrorizzava […] Gli ubriaconi credono volentieri che Dio, o lo Scritto, siano dietro il banco del prossimo bar […] Scoprivo i libri, in cui ci si può nascondere come fra le sottane del cielo.”
Il mare editoriale di questi ultimi anni è stato inquinato da un riversamento considerevole di plastica, diffusa e veicolata da nuove figure in cerca di visibilità (suffissi e prefissi di book, blogger, tuber trend…) da scribacchini di colonne compiacenti, legati a filo doppio alle floride agenzie letterarie che pullulano, con il benestare delle case editrici (il più delle volte isteriche stamperie) che riversano nel suddetto mare un numero incommensurabile di pagine, il più delle volte lasciate perfettamente intatte dai lettori, che sempre più esigui nel numero, si vedono mestamente sconfitti dall’invasione dei libri-plastica. Poi giunge lo Scritto, non uno come tanti, ma uno dei pochi, che ti solleva, ti allontana, ti schiaccia, stritolando quello che di te rimane. E ti fa lettore. Vite minuscole le nostre, che senza alcuna narrazione scemeranno mestamente nell’oblio ammantato di silenzio.