Per l’ultimo appuntamento della rubrica “Cinque domande, uno stile” prima della pausa estiva, è ospite Ester Rizzo, autrice per Navarra Editore di “Le ricamatrici” (2018).
Quando accade, quando un’idea, l’Idea, giunge e prende forma, si rappresenta nel suo immaginario, pronta ad essere modellata per diventare una storia, che sensazione si prova?
È la sensazione di dare nuovamente vita a delle persone che non possono avere più voce. Ed è molto emozionante. Parlo ovviamente della mia esperienza personale in quanto i miei libri sono il frutto di ricerche storiche su fatti realmente accaduti e persone esistite.
La consapevolezza che la parola appena scritta costituisca la conclusione di un racconto è evidente o necessaria?
A mio parere è una consapevolezza necessaria.
C’è stato, nel suo percorso di vita, netto e distinto, un momento di scelta in cui ha affermato a se stesso “devo scrivere?”
Ho sempre scritto soprattutto articoli sin da ragazza ma la consapevolezza di dovere scrivere un libro su argomenti di cui comunque mi sono sempre interessata l’ho percepita al compimento dei 50 anni. È, penso, un’età in cui ci si ferma un attimo a riflettere e ci si accorge che il tempo è andato avanti velocemente. È il tempo in cui inizi a selezionare la quotidianità. Per me è stato il tempo in cui ho sentito l’urgenza di riconsegnare ad altri tante storie femminili che avevo scoperto e che ho approfondito. Non potevo lasciarle nell’olio in cui erano cadute. È stato il mio piccolo contributo alle lotte delle donne per l emancipazione femminile.
Lo stile è un passaggio che ciascun autore percorre, può in qualche modo divenire un vincolo?
Non so rispondere a questa domanda. Non ho mai pensato allo stile. Ho sempre scritto in maniera spontanea e l’ho sempre fatto con “il cuore”. Nei miei libri non c’è la ricerca di uno stile, c’è la ricerca di verità per ridare anima e dignità alle donne.
In quale misura crede che la letteratura oggi riesca ad incidere nella società e con quale forza lo scrivere costituisca un gesto politico?
Scrivere dovrebbe essere sempre un gesto politico ma purtroppo non è sempre così. Oggi penso si scriva più per appagare il proprio narcisismo che per divulgare valori . Per me la scrittura è dare risalto ai valori della solidarietà, dell’uguaglianza, della giustizia sociale. Scrivo per donare a chi vorrà leggermi l’emozione di non arrendersi di fronte all’iniquità e alla malvagità di una parte del mondo. Scrivo e ovviamente tanti altri come me per dare alle nuove generazioni la voglia di ribellarsi a stereotipi che ci hanno danneggiato e inaridito. Scrivo perché sono fermamente convinta che la conoscenza può costruire un mondo migliore, un mondo di pace e di amore in tutti i sensi.