“Cinque domande, uno stile” ritorna dopo una lunga pausa in cui sono stato impegnato nell’inseguire le tracce del buon Agatino. In pieno clima Premio Strega, da poco è stata annunciata la dozzina finale, ospita la giovane scrittrice Sonia Aggio, autrice del romanzo “Nella stanza dell’imperatore”, edito da Fazi Editore, con il quale è in lizza per la prestigiosa cinquina che assegnerà il premio più celebre e, pertanto, discusso del panorama letterario italiano.
Quando accade, quando un’idea, l’Idea, giunge e prende forma, si rappresenta nel suo immaginario, pronta ad essere modellata per diventare una storia, che sensazione si prova?
Esultanza. È come individuare una traccia nascosta, un segnale dall’universo. In un attimo, cose lontanissime arrivano a combaciare, creando qualcosa di unico.
La consapevolezza che la parola appena scritta costituisca la conclusione di un racconto è evidente o necessaria?
Entrambe le cose. È evidente perché ogni storia viene costruita in un certo modo, e in un certo modo e in un certo punto deve finire. A volte però è difficile riconoscerlo: la paura, il perfezionismo, l’ostinazione rischiano di offuscare la capacità di giudizio, portando a rimaneggiare, allungare, accorciare, per spostare all’infinito il momento del congedo. È qui che si presenta la necessità di riconoscere che è il momento di lasciarla andare.
C’è stato, nel suo percorso di vita, netto e distinto, un momento di scelta in cui ha affermato a se stessa “devo scrivere?”
Ho sempre scritto e ho sempre voluto scrivere, ma credo che la rivelazione sia avvenuta otto anni fa, da poco iscritta all’università. Ho avuto un’ondata di ispirazione durata mesi: ho scritto con facilità, uno dopo l’altro, molti racconti ambientati in tempi e luoghi diversi. Alcuni di questi sono stati pubblicati su riviste letterarie; altri hanno avuto riscontri positivi in contesti come il Campiello Giovani. A quel punto ho avuto la sensazione di aver imboccato la strada giusta.
Lo stile è un passaggio che ciascun autore percorre, può in qualche modo divenire un vincolo?
Dipende. Diventa un vincolo se lo si forza per adattarlo al gusto di qualcun altro, per adattarlo al mercato. Ma finché scrivo per me stessa, assecondando il mio istinto e il mio desiderio, è un bellissimo viaggio.
In quale misura crede che la letteratura oggi riesca ad incidere nella società e con quale forza lo scrivere costituisca un gesto politico?
Non lo so, davvero. Mi dicono che tutto è politico, quindi immagino che anche la mia produzione, in un qualche modo che io non comprendo, lo sia.