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Rosella Postorino

“Cinque domande uno stile” ospita Rosella Postorino.
Vive tra i libri e di libri. Editor e scrittrice, nasce a Reggio Calabria, cresce in Liguria e adesso vive e lavora a Roma. Il suo esordio letterario avviene con il racconto In una capsula, [incluso nell’antologia Ragazze che dovresti conoscere – Einaudi Stile Libero, 2004].
Suoi i romanzi La stanza di sopra (Neri Pozza, 2007 poi in Feltrinelli, 2018; vincitore del Premio Rapallo Carige Opera Prima), L’estate che perdemmo Dio (Einaudi Stile Libero, 2009; Premio Benedetto Croce e Premio speciale della giuria Cesare De Lollis) e Il corpo docile (Einaudi Stile Libero, 2013; Premio Penne). Ha scritto anche per il teatro Tu (non) sei il tuo lavoro (in Working for Paradise, Bompiani, 2009) e il saggio Il mare in salita (Laterza, 2011).
Con il romanzo Le assaggiatrici (Feltrinelli, 2018) ha ottenuto numerosi riconoscimenti, tra cui il Premio Campiello 2018. La versione francese del libro (La Goûteuse d’Hitler, ed. Albin Michel) ha vinto il Prix Jean Monnet. Con Mi limitavo ad amare te (2023, Feltrinelli), ha vinto il Premio Asti d’Appello 2023 ed è stata finalista al Premio Strega 2023.
Nei nervi e nel cuore. Memoriale per il presente è il suo ultimo lavoro appena pubblicato da Solferino.

[Foto tratta dal sito Feltrinelli editore]

Quando accade, quando un’idea, l’Idea, giunge e prende forma, si rappresenta nel suo immaginario, pronta ad essere modellata per diventare una storia, che sensazione si prova?

Dipende. Entusiasmo, perplessità, scetticismo, euforia esagerata, disperazione. Di solito tutto insieme, a giorni alterni.

 

La consapevolezza che la parola appena scritta costituisca la conclusione di un racconto è evidente o necessaria?

Non funziona sempre nello stesso modo. A volte si conosce l’ultima parola dall’inizio e si scrive tutto il racconto per raggiungerla, altre volte l’ultimo capitolo di un romanzo viene eliminato, altre volte la scena finale di un romanzo emerge man mano che la fine si avvicina, e lo si sente.

C’è stato, nel suo percorso di vita, netto e distinto, un momento di scelta in cui ha affermato a se stessa “devo scrivere?”

Sì. Volevo scrivere da quando avevo dodici anni, ma ho deciso che avrei provato a farlo davvero – cioè che avrei provato a pubblicare – durante il mio primo anno a Roma, perché ero molto infelice del lavoro che facevo e della vita che conducevo, e ho pensato che dovevo finalmente autorizzarmi a inseguire il mio desiderio, per quanto spaventoso fosse.

Lo stile è un passaggio che ciascun autore percorre, può in qualche modo divenire un vincolo?

Non capisco la domanda. Lo stile è una ricerca che in parte ha a che fare con il respiro di uno scrittore, in parte è legato a quel preciso romanzo, a quella precisa storia.

In quale misura crede che la letteratura oggi riesca ad incidere nella società e con quale forza lo scrivere costituisca un gesto politico?

Ogni gesto umano è politico. Detto questo, credo che la letteratura non debba porsi obiettivi politici. Deve porsi l’obiettivo di raccontare l’umano nel modo più autentico possibile, liberandosi di ogni pacchetto di giudizi e immagini e parole precodificati.

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