È una notte che non vuol dormire. Silenziosamente lunga. Di quelle notti che non passano mai. E scorre lungo i pensieri e scende sulla lingua muta, e scarta sui cassonetti lasciati a bruciare le miserie di un giorno passato in fretta, come ieri.
È una notte che non ha rumori, né sospiri da nascondere, chiusa in se stessa come un soffio di vita che trattengo tra le mani.
Un malinconico blues, come se sapesse, suona stanco alla radio che gracchia. Sento la voce vibrare nell’aria eppure è silenzio tutt’intorno.
Qualcosa, là fuori, si muove a sprazzi e invade il mio silenzio.
Calpestio di passi, passi lenti, stanchi, che ritornano a casa, ora veloci ora a rincorrersi nel buio di lampioni vinti dalla ruggine. E passi in fuga, passi coperti dal rombo d’automobili che scalpitano per arrivare e ripartire, aerei che ronzano tra le stelle e la luna che nuda riflette sulle mie spoglie.
Ma forse è solo incanto. Il mio, l’incanto di una notte che non sa dormire, proprio come me.
È una notte assente che non sa dire.
Niente di quello che è stato raccoglie, poco di ciò che sarà trattiene tra le dita.
Lei mi sta accanto e dorme.
Sento il suo respiro, m’avvicino lentamente, dolce. Infinito come il piacere che mi da. Adesso dorme e lo vorrei anch’io, stanotte, almeno un po’.
Invece le ore scivolano sui miei occhi come la sua schiena scoperta. E scorgo la pelle candida, l’ombra del paralume che la nasconde. Vorrei averla tutta per me, eppure so già che domattina non sarò in grado di riconoscerla. Ho già dimenticato il suo nome e non m’importa, domani scorderò il suo volto. Continuo a fissarla nella penombra, la luce disegna le sue esili braccia sulle lenzuola, il respiro la scosta leggermente, poi si volta e sembra sorridere.
È la mia donna. Stanotte.
È tutto quel che ho. È quello che mi resta.
Una notte strana che non sa morire.
Le trombe hanno smesso di parlare, gli animi raffreddano. Voglio cambiare prospettiva, accendo la TV. Passa opinioni, le solite. Tutto al mondo è opinabile. Saltella qua e là, il segnale è instabile, come tutto ciò che mi circonda, come i miei pensieri. Anch’io sento le mie ossa scivolare, e con loro l’anima che si tiene a stento in piedi, anch’io scendo verso la notte inoltrata.
La spengo.
Ritorno alla cara radio, mi siedo sulla poltrona all’angolo e il silenzio m’assale. Invisibile e tetro assale il mio pensiero e l’annulla. Poi un sussulto. Ancora lei che si gira tra le lenzuola. Si muove a scatti eppure è così immobile nella mia mente, ferma.
Così ferma da svanire in un attimo.
Si rigira, sembra davvero sorridermi, scopre il seno e languida fissa il mio sguardo.
Mi ha salvato dall’eternità.
E sorride.
Tiro l’ultima boccata all’ennesima sigaretta e le vado incontro. L’abbraccio e ricomincio ad amarla come ho amato la prima volta, vent’anni fa.
Non è più lei ma non importa.
Dorme e piange, scalcia e ride e morde e graffia tra la mie braccia.
È la donna di una notte, non certo di una vita.
Quella l’ho persa, come tutto ciò che conta, nella notte di vent’anni fa.
Un’altra notte che ho visto nel tempo morire.