Ospite di “Cinque domande, uno stile” è Andrea Cotti. Poeta, scrittore e sceneggiatore, si muove in maniera eclettica nel mondo della parola e dei libri. Tra le sue opere segnaliamo la raccolta di racconti “Tre” (1996, Bollati Boringhieri), “Il fantasma” (2004, Fabbri Editori), “Il cinese” (2018, Rizzoli), e l’ultimo “L’impero di mezzo” per la collana Nero Rizzoli (2021). E’ stato, tra l’altro, sceneggiatore della fortunata serie trasmessa dalla RAI “L’ispettore Coliandro” ideata da Carlo Lucarelli per la regia dei Manetti Bros.
Quando accade, quando un’idea, l’Idea, giunge e prende forma, si rappresenta nel suo immaginario, pronta ad essere modellata per diventare una storia, che sensazione si prova?
È una sensazione corposa, quasi fisica. Come avere davvero in mano una palla di creta e iniziare a impastare. Poi può succedere che viene una schifezza, e butti via tutto. Ma quella sensazione iniziale di piacere tattile rimane.
La consapevolezza che la parola appena scritta costituisca la conclusione di un racconto è evidente o necessaria?
È evidente. Ogni storia ha una fine. Esattamente come nella vita. E quando arriva lo sai. Magari non te ne accorgi subito, ma a un certo punto te ne rendi conto e capisci che quella storia non solo è finita, ma poteva finire soltanto in quel modo.
C’è stato, nel suo percorso di vita, netto e distinto, un momento di scelta in cui ha affermato a se stesso “devo scrivere?”
Più che “devo” io mi sono detto “voglio”. E me lo sono detto quando ho realizzato che scrivere era l’unica cosa che continuavo a fare indipendentemente da qualunque altra cosa stessi facendo nella vita.
Lo stile è un passaggio che ciascun autore percorre, può in qualche modo divenire un vincolo?
Lo stile è certamente la voce di un autore. Di un’autrice. Diventa vincolo quando l’autore o l’autrice non adatta la propria voce alla storia che sta raccontando. Io non userei la stessa voce se stessi raccontando una barzelletta o una storia di paura attorno al fuoco.
In quale misura crede che la letteratura oggi riesca ad incidere nella società e con quale forza lo scrivere costituisca un gesto politico?
Se la letteratura si rapporta alla realtà, allora incide sulla realtà ed un gesto etico più che politico. Se la letteratura si rapporta alla letteratura, invece, è un gesto di autoerotismo.