Andrea Tarabbia, fresco vincitore del Campiello con il suo “Madrigale senza suono” (2019, Bollati Boringhieri), è ospite della rubrica “Cinque domande, uno stile”.
Quando accade, quando un’idea, l’Idea, giunge e prende forma, si rappresenta nel suo immaginario, pronta ad essere modellata per diventare una storia, che sensazione si prova?
Non saprei. Non è una cosa che accade all’improvviso, come quando si accende la luce. È qualcosa che succede nel tempo, dopo studi, riflessioni e così via. Poi certo: c’è una storia che ti interessa più di un’altra, c’è quell’idea lì che ti solletica un po’. Ma siccome impiego molto tempo a scrivere un romanzo – potrei dire che scrivere mi costa anni di lavoro – guardo ogni idea possibile con sospetto. Le chiedo: “Davvero sei tu quella cosa attorno a cui ruoterò per i prossimi anni? Vali davvero la pena?”
La consapevolezza che la parola appena scritta costituisca la conclusione di un racconto è evidente o necessaria?
…
C’è stato, nel suo percorso di vita, netto e distinto, un momento di scelta in cui ha affermato a se stesso “devo scrivere?”
No. C’è stato – e c’è continuamente – un momento in cui ho detto – e dico – a me stesso: “Devo leggere”.
Lo stile è un passaggio che ciascun autore percorre, può in qualche modo divenire un vincolo?
Prima di scrivere qualsiasi cosa, scegli la lingua in cui la scriverai. La adatti alla storia, all’idea, a ciò che vuoi dire. È un vincolo, ma senza questo vincolo la pagina rimane bianca.
In quale misura crede che la letteratura oggi riesca ad incidere nella società e con quale forza lo scrivere costituisca un gesto politico?
Lo scrivere è un gesto politico proprio perché la letteratura non riesce più a incidere sulla società. È una forma di ostinazione, se vuoi, una lotta contro i mulini a vento. Tuttavia, esistono certi libri che ancora oggi entrano nell’immaginario, modificano la lingua, i modi di dire, e fanno riflettere su certe questioni: la società non la cambiano, ma continuano a porre problemi, questioni, e a lottare (penso, naturalmente, a tutti quegli scrittori che, in Paesi che non sono questo, non possono pubblicare, o sono banditi, o sono in galera).