– Davide Enia, 2017 – Sellerio – pp. 211 – € 15,00.
Ad un certo punto del testo Enia scrive: «Mentre si annega, si grida il proprio nome.» In questa frase devastante sta il fulcro della questione migrante, del mare, del dolore, della sconfitta, della scomparsa. Si grida il proprio nome per non essere dimenticati, per non finire nell’oblio del mare, come troppo spesso accade alle salme recuperate: senza un nome, senza una storia, senza una vita. Eppure, quelle salme sono state, in un momento preciso, un nome, una storia, una vita. Enia – in questo libro che viaggia sui binari del reportage e della narrazione, del memoir (a riguardo splendide e malinconiche le pagine che caratterizzano il rapporto padre-figlio e zio-nipote) – racconta, intreccia, fa emergere dagli abissi i corpi dei vivi e dei morti. Corpi che sono testimonianze dirette, più delle parole, del viaggio. Un viaggio non scritto, ma affidato alle lacerazioni della pelle, degli sguardi e della memoria di chi, in smacco alla sorte, è riuscito a rimanere a galla.
«è complessa, la Storia, piena di tasselli diseguali, a volte simili, a volte proprio opposti, eppure tutti necessari perché affiori il disegno finale.»
«le persone continuavano a marciare attraverso il Sahara, le donne venivano stuprate nelle carceri libiche, i barconi e i gommoni salpavano ed erano intercettati oppure affondavano.»
«La Storia non si era affatto fermata.»
«La paura del diverso, di quello che non conosci, qualunque cosa essa sia, umano, animale, naturale, è normale. E se la superi la prima volta, probabilmente non ti si ripresenterà più. O, almeno, ogni volta che ti si ripresenterà, avrai tempi di reazione sempre minori per superarla.»
«In meridione si sconta una difficoltà comunicativa figlia di una cultura secolare in cui tacere è sintomo di virilità[…] “Omo di panza” è il modo lusinghiero per definire chi si presume abbia uno stomaco così forte da trattenere dentro tutto: i dubbi, i segreti, i traumi. È un tratto distintivo del paternalismo: il tacere diventa un’arte che si apprende fin da piccolissimi. Parlare è una attività da fìmmina. I deboli parlano, i veri màsculi stanno muti. La consegna del silenzio, soglia di quella rocca quasi inscalfibile che è l’omertà, è una conditio sine qua non per integrarsi. In ogni caso, giusto per mettere le cose in chiaro, ’a megghiu parola è chìdda ca ’un si dice.»
«Per la prima volta, capii chi era mio padre. Era contemporaneamente il mio genitore, il figlio di mio nonno e l’orfano adulto che, dal giorno del lutto in poi, aveva avuto soltanto il rimpianto e la memoria per relazionarsi con il padre.»
«Qui salviamo vite. In mare ogni vita è sacra. Se qualcuno ha bisogno di aiuto, noi lo salviamo. Non ci sono colori, etnie, religioni. È la legge del mare.»
«Si assiste impotenti al naufragio, ed è come se l’acqua entrasse dentro pure a te.»
«Raccontare aiuta, sicuramente, anche solo per liberarsi di tutto ciò che ci si porta dentro.»
«L’anticipo della tragedia si consuma nel silenzio, con una assenza.»
«Ciò che viene a mancare, oltre a rendere incompleto il disegno, apre il varco alla frattura. Ed è esattamente in quel vuoto che irrompe la morte.»
«Da dove c’è la guerra, non si scappa in aereo. Si fugge a piedi e senza visto per il semplice motivo che i visti non vengono rilasciati. Quando la terra finisce, si sale su una barca.»
«Il mare dà e prende vita, quando decide lui, proprio come il cielo.»
Dal testo è tratto lo spettacolo “Abisso” che Enia sta portando in giro nei teatri italiani.