“Cinque domande, uno stile” approda in casa editrice.
Inaugura la sezione dedicata agli editori Arkadia Editore.
Giovane realtà editoriale isolana nata nel 2009 con sede a Cagliari. Ha da poco avviato la collana Sidekar curata dalle sorelle Mariela Peritore Fabbri e Ivana Peritore con il romanzo “Stato di Famiglia” di Alessandro Zannoni. Ha pubblicato, tra gli altri, “Fratello minore. Sorte, amori e pagine di Peter B.” di Stefano Zangrando tra i finalisti italiani della X edizione del concorso europeo “European Union Prize for Literature 2019” e “L’ambasciatore delle foreste” di Paolo Ciampi.
L’editore, Riccardo Mostallino Murgia, ha risposto alle cinque domande.
Qual è lo spirito che caratterizza il suo essere editore?
Sicuramente la possibilità di offrire al lettore un’ampia scelta che si allontani dall’appiattimento generale proposto dalle cosiddette grandi case editrici che, molto spesso, rincorrono più i personaggi del momento che le tematiche che stanno a cuore al nostro pubblico. Non per essere arroganti, o spocchiosi, ma ci piace pensare che le nostre pubblicazioni si discostino dalla standardizzazione imperante, consci peraltro che nulla o poco si inventa, per quanto concerne i generi letterari. Certo, però, vogliamo essere liberi di investire in nuovi talenti, in progetti innovativi, in una parola dare la possibilità di creare un circuito virtuoso fatto di autori e testi di rilievo.
Quale peculiarità deve avere un testo per poter essere pubblicato?
Vi sono alcuni criteri base che vanno rispettati. Prima di tutto il testo deve essere intrigante, scritto nel miglior modo possibile, affascinante. Si può raccontare semplicemente il percorso di una lumaca da una foglia a un’altra, ma l’importante è come si narra l’evento. Per questo cerchiamo sempre di operare editing accurati, consigliamo gli autori su taluni aspetti e ci confrontiamo con loro. Non essendo editori a pagamento, peraltro, siamo liberi di rifiutare quel che non ci piace e ci confrontiamo con il mercato vero, pertanto, in ultima analisi, sono i lettori a decretare il successo o meno di un nostro libro.
Qual è il libro che ha amato di più da lettore e quale le ha dato maggiori soddisfazioni da editore?
Libri che ho amato da lettore ce ne sono tantissimi. Sia di narrativa che di saggistica. Per la narrativa potrei parlare della saga di Colleen McCullough incentrata sull’antica Roma, i cui volumi sono veramente fantastici e scritti con cognizione di causa. Potrei però anche citare il ciclo sulla Fondazione di Asimov. Oppure, un libro poco conosciuto e che mi ha stimolato tantissimo, come Miliardi di tappetti di capelli di Andreas Eschbach. Non posso poi dimenticare i classici, tra i quali pongo sicuramente le opere di Austen, Fielding, Dickens, Ohnet, Balzac, tanto per citarne qualcuno e, per venire a tempi più recenti, Babel, Andric, Gorkij, Capote etc. La saggistica, anche per via dei miei interessi di carattere storico, è molto rivolta verso quel versante, ma sicuramente uno dei libri che ho sempre amato moltissimo sono gli Annales di Tacito. Infine, difficile dire quale sia stato il libro che da editore mi ha dato più soddisfazioni, ce ne sono diversi anche in questo caso. Dal punto di vista prettamente dei numeri direi “L’ambasciatore delle foreste” di Paolo Ciampi, grande prova di letteratura. Grosse soddisfazioni emotive, però, le ho ricevute anche da altri nostri libri (“Le ragazze con le calze grigie” di Romina Casagrande, “Fratello minore” di Stefano Zangrando, etc) ma sarebbe troppo lungo citarli.
C’è stato, nel suo percorso di vita, netto e distinto, un momento di scelta in cui ha affermato a se stesso “voglio vivere tra i libri e di libri?”
Da quando sono nato. Più o meno. Avevo 6 anni e mia madre, mentre mi trovavo a letto per una brutta malattia, mi diede un libro dicendomi: “Qui troverai tutte le risposte alle domande che un giorno ti farai”. Aveva proprio ragione. Da quel momento sono diventato un divoratore di libri. Ne leggo contemporaneamente anche 3 o 4, perché voglio poterli leggere tutti… Ho fatto altre cose prima di approdare all’editoria, ma devo dire che solo in questo ambito mi sento “vivo” e realizzato.
In quale misura crede che la letteratura oggi riesca ad incidere nella società e con quale forza lo scrivere costituisca un gesto politico?
Il peso della letteratura è e deve essere fortissimo. Un tempo lo era assai di più, perché i libri costituivano una fonte di sapere e di discernimento insostituibile. Oggi, ahinoi, a causa di Internet, dei cellulari, della Tv etc., il “potere” del libro si è ridotto, ma non è certo scomparso. Si va un po’ veleggiando a vista, perché strumenti più veloci ci connettono verso interessi differenti. Ma niente è più dirompente di un libro, laddove esponga delle tesi o delle idee che siano in grado di mutare un opinione o di formarla. E così, lo scrivere, è “agire politico” in tutti i sensi, perché ogni interazione con la realtà crea politica… quando ci si confronta con la quotidianità, con i problemi dell’esistenza, anche questo è fare politica. E poiché i libri – di qualunque genere – sono lo specchio della realtà filtrata/modificata/adattata dall’autore, allora scrivere significa partecipare a questo agone.