Credevano di essere degli dei, loro. Credevano che tutto gli fosse concesso. E non facevano altro che atteggiarsi. Mossettine e pettinature da idioti. Questo riuscivano a mettere insieme e null’altro. Eppure inchiostri a palate su quel gruppo, sulle rinnovate, sperimentali e ardite rivoluzioni sonore e cazzate d’altro tipo, questo scrivevano. Senza nessuno che fosse in grado di rendersi conto della verità.
Sono i giornali che costruiscono i fenomeni.
Ve lo dico io.
Sono i giornali che imbastiscono crisi economiche, e mettono in piedi governi fantoccio, e organizzano guerre lampo da sbattere in prima pagina e nascondono stragi e mostrano le loro interessate verità. I giornali e chi gli sta dietro a tessere le fila delle nostre quotidiane esistenze. Sono i giornali che pompavano quel gruppo e lo innalzavano a faro delle nuove generazioni.
E poi mi chiamavano musica quella roba là?
Dio santo!
Ma hanno mai avuto idea di cosa sia la musica quei quattro coglioncelli?
Hanno mai avuto una santissima idea di quello che chiamavano musica?
Accozzaglia di rumori distorti per menti perverse.
Rumori e nient’altro erano in grado di tirare fuori dalle loro menti maciullate dalle droghe. Ai miei tempi sì che c’era della buona musica in giro. Alta classe, qualità. E nemmeno una goccia di sudore chimico. Quello che grondava a fiumi dalle loro fronti in frantumi.
Sissignori.
Credevano d’esser degli dei quelli lì. In particolare il bel capellone che s’atteggiava a novello Gesù. Se mi avessero dato la possibilità di parlargli per qualche istante gliene avrei cantate delle belle.
Altro che le sue canzoni senza senso.
Ma che voleva quel tipo lì con le sue paranoie? Che me ne faccio delle sue visioni, delle angosce. E poi i suoi occhi. Cazzo non riuscivo a mandarli giù. Per come guardava intorno.
Troppa curiosità.
Talvolta abbassavo i miei quando ci ritrovavamo a pochi centimetri. Mi dava l’impressione, come se, non saprei, quel tipo dava l’idea di poterti scorgere dentro la mente.
E scoprire i tuoi pensieri.
Ho sempre avuto una fottuta paura che questo possa accadere. Che qualcuno entri nella mia mente e tiri fuori tutto quello che provo a nascondere.
Finirei, finiremmo tutti d’essere liberi, sarebbe l’estinzione della specie umana.
Perché, che lo crediate o no, la sola libertà che ci rimane è quella di potere pensare, almeno illuderci di poterlo ancora fare.
La mia testa è il mio rifugio, sissignore.
Anche se in alcune occasioni ho considerato come quel rifugio sia nient’altro che una prigione uguale a tante. Se nessun pensiero prende mani e braccia e con gambe ferme cammina per la strada rimaniamo in un luogo che sa di prigione. Masturbazioni mentali le mie, come masturbazioni sonore erano quelle del tipetto bello sguardo.
Arrivava in sala con un sorriso da ebete. E lasciava in giro una sensazione di sporco. Questo ricordo bene del tipo. Ed io che al loro passaggio mi ritrovavo scopa in mano a dover ripulire tutta la lordura lasciata in giro. Talvolta rincasavo e mi fiondavo in doccia senza dire una parola a mia moglie. Non riuscivo a sopportare la puzza di quel luogo. V’era una sensazione pesante su di me, come di oppressione per quei profumi intensi che respiravo a lavoro. Avrei voluto cambiare, ma non c’era niente di migliore. La paga era buona per quel che facevo. Se non fosse stato per lui, il tipo dico, non avrei avuto di che lamentarmi, né sarei ritornato a casa in fretta per lavarmi il loro odore.
Ad ogni modo i suoi occhi non riuscivo a mandarli giù né a togliermeli di dosso dalla mente.
Una volta vinto dalla curiosità finii per assistere ad un loro spettacolo, erano quasi alla fine della corsa. Da lì a poco il tipo sarebbe stato sbattuto fuori, lui e le sue paranoie esistenziali cancellate del tutto dal palco.
Mi ritrovai in quel localino. Carino e senza pretese, ma con una bella atmosfera se non fosse stato per l’aria pregna del loro sudore, che non riuscivo a sopportate.
Entro, mi appoggio alla parete e vedo gli altri suonare. Lo spilungone col suo solito modo di ondeggiare tenendo il basso, e lui che dal centro del palco si sposta sul lato. E si siede, e inizia a strimpellare cose senza senso, finché non se ne resta seduto su un amplificatore, come un perfetto idiota, e fuori tempo tormenta una corda della sua chitarra.
C’era da aspettarselo che una cosa del genere sarebbe andata avanti per poco tempo.
E così è stato.
Qualche mese dopo l’hanno fatto fuori. Dal gruppo dico. Che quello a parer mio s’era fatto fuori di testa già da un pezzo.
I suoi occhi però continuavano a tormentarmi.
Forse perché un giorno venne mia moglie a trovarmi, forse perché la pizzicai ad osservarlo, adularlo quasi. In uno stato da adolescente. Sol perché quel tipetto bello sguardo era una star del rock. Una stella nascente della nuova musica. Forse perché sentivo che sarebbe stato necessario un cenno di quel ragazzino esile per avere tutto da mia moglie. Molto più di quello che in tre anni di matrimonio ero riuscito ad avere io. Forse per questo, e forse per non so cosa quel tipo lì non mi fece mai simpatia.
Eppure alcuni anni dopo ritornò.
Tutto era stato già deciso.
Loro avevano fatto molta strada. Erano arrivati sulla luna, ne avevano esplorato la parte misteriosa, questo si leggeva in giro. Avevano costruito un marchio di fabbrica. E del ragazzino tutte paranoie non c’era più traccia.
La leggenda narra che fece il suo ingresso mesto in sala di registrazione con in mano un sacchetto della spesa. Ma non è leggenda. Io c’ero. Ingobbito da qualche anno in più e dalle corna di quella baldracca che aveva pensato bene di lasciarmi in asso.
Entrò, imbolsito, invecchiato. Come se interi secoli di miseria gli si fossero fermati addosso. Appiccicati come il sudore che era stato bravo a spargere per il pavimento.
Aveva uno sguardo finto. Senza luce.
Diede un’occhiata in giro, rimase per alcuni istanti ad ascoltare.
Poi andò via.
Dicono sia stato un genio.
Sono andato in pensione da un bel po’. Nel corso degli anni ho dimenticato ben presto la mia Emily e i suoi occhi spenti. Mi sono risposato, ho avuto figli e pure alcune amanti. Ma al mattino mentre faccio la barba mi scorgo allo specchio, io e i miei occhi splendenti, ancora.
[8 Gennaio 2011]