Scrittrice, drammaturga, cittadina del mondo. Vive attualmente a Palermo e scolpisce da sempre con le parole. Collabora con RadioRai ed è direttore editoriale per la casa editrice “La meridiana” della collana “Passaggi di donne”. Ideatrice del progetto “Vi racconto l’opera” in cui narra le opere in cartellone al Teatro Massimo, prima della “Prima”. Autrice, tra i tanti, di Ragazzo di razza incerta (La meridiana, 2013), Niente ci fu (La meridiana, 2012), Elegia delle donne morte (Navarra, 2011), Oltre il vasto oceano. Memoria parziale di Bambina (Avagliano, 2013 – presentato al premio “Strega” del 2014).
Quando accade, quando un’idea, l’Idea, giunge e prende forma, si rappresenta nel suo immaginario, pronta ad essere modellata per diventare una storia, che sensazione si prova?
Raramente ho un’Idea, piuttosto comincio a muovermi dentro dei percorsi , delle ricerche, delle letture che piano piano mi portano verso un desiderio di narrare, allora comincio. Piano Piano. Non ho nessuna sensazione particolare se non il lavoro di un artigiano che giorno per giorno compone qualcosa.
La consapevolezza che la parola appena scritta costituisca la conclusione di un racconto è evidente o necessaria?
Direi evidente ma non lo so subito, mi ci vuole del tempo e molte riletture e pause e riletture.
C’è stato, nel suo percorso di vita, netto e distinto, un momento di scelta in cui ha affermato a se stessa “devo scrivere?”
No. Ho sempre raccontato storie perciò mi è venuto naturale cominciare a metterle su carta.
Lo stile è un passaggio che ciascun autore percorre, può in qualche modo divenire un vincolo?
Non credo. La voce è se stessi. Non si può essere condizionati, è la propria poetica, il modo in cui si narra il mondo.
In quale misura crede che la letteratura oggi riesca ad incidere nella società e con quale forza lo scrivere costituisca un gesto politico?
Sì credo di sì. Raccontare è dare la possibilità di aprire porte, di avere forza, di proporre cambiamenti o comunque riflessioni. Scrivere è un gesto politico per definizione.