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Categoria: Ebbro

Intervista per Fattitaliani.it


Il viaggio di perdizione da un paesino siciliano fino a Milano fatto dal giovane Enzo, che arriva a un tale stato di degrado da conoscere la miseria dei marciapiedi, le perversioni di un universo di tossici a cui si lega in modo indissolubile, l’illusorietà di un facile successo da Dj che lo immerge per un certo periodo in un delirio di onnipotenza, schiavo della droga e disperatamente perduto alla società “normale”. È la parabola del protagonista del romanzo Keep yourself alive (Lupo editore, pagg. 144, € 13,00) con cui l’autore Massimiliano Cittàconcorre alla seconda edizione del premio letterario “Torre dell’Orologio” di Sicuiliana:Fattitaliani lo ha intervistato.

Data la sua passione e competenza musicale, quanto c’entrano i Queen nella scelta del titolo?
Il titolo del romanzo prende in prestito una canzone dei Queen. Un connubio tra i suoni della mia adolescenza e il messaggio stesso che sottostà alla scrittura. Mantieniti vivo come una canzone. C’era infatti in me, all’epoca della stesura della storia di Enzo, l’idea di uno stile musicale. Fluido, in cui la narrazione avvenisse per sensazioni e non concetti ben definiti.

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Dormirai

Il silenzio sale dalla strada e culla il cammino degli ultimi, in questa umida notte d’estate. Lo strimpellare di una chitarra scordata accompagna una voce roca.…

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Da allora non canta più



Ho trascorso quarant’anni della mia vita in prigione. E per questo credo di non essere in grado di definire il tempo. Fuori, fuori da qui quaranta lunghi anni costituiscono un peso consistente sulle spalle di chiunque. Qui dentro invece non saprei dire. In questa misera cella non c’è alternanza di stagioni, né freddo più di quanto riesca a sopportare il caldo. Forse eccessiva è l’umidità, ma ho dimenticato bene cosa possa essere là fuori, pertanto non ho termini di paragone. Conosco poche parole. E poche sono le cose che mi girano intorno. Conosco la miseria, e forse ricordo l’odore del sangue. Conosco lo squittio dei topi, e i segni del loro passaggio. Conosco poche parole. E poche sono le cose che mi girano intorno. Non conosco il sapore dei frutti di stagione, né i colori dell’alba e il tramonto che ho letto qui al buio. Non conosco musica che le mie orecchie possano immaginare. E le voci del mondo le sento tutte dentro la mia.
Qualcuno si lamenta del puzzo di piscio, e chiama putrido questo luogo. Accade nelle prime notti, poi ci si abitua. Io non saprei definirlo in nessun modo. E’ parte di me forse, da tantissimo tempo certo. Tutto il tempo che ricordo. Ogni cosa che ho fatto l’ho fatta tra queste mura larghe e senza vento. Ogni cosa che mi manca sta oltre quella grata.
Scorgo parte del paesino che ci accoglie.
Uno scorcio del campanile, che si sveglia anche di notte a ricordarci l’ora, come se qui dentro un’ora valga più d’un’altra. E vedo pure qualche casa prima della piazza, o prima del posto che immagino possa essere la piazza, il centro di questa cittadina.Da quarant’anni rinchiuso dentro e non ricordo più nemmeno perché. Eppure una ragione ci sarà, lo sento dire in giro, avranno pur ragione.
Loro.

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