“Cinque domande, uno stile” ospita Davide Ficarra, scrittore palermitano. Dopo l’esordio con il romanzo “Milza Blues” (Navarra, 2017, di cui potete leggere qui), ha pubblicato “Mani crude” (2019), “Segui la cenere” (2020) sempre per Navarra editore. Da poco in libreria con il nuovo “Palazzo Leoni” (Arkadia, 2022).
Quando accade, quando un’idea, l’Idea, giunge e prende forma, si rappresenta nel suo immaginario, pronta ad essere modellata per diventare una storia, che sensazione si prova?
A volte scrivendo, oppure osservando, ascoltando, più spesso leggendo, un’idea, una possibile storia si impone all’immaginazione. Da quel momento immagini, idee e suggestioni si intrecciano tra loro fino a costruire una trama possibile e verosimile. Poi scrivendo trasformo tutto quanto l’impianto iniziale che ho immaginato in un nuovo racconto, ma la traccia profonda, lasciata dalla prima elaborazione di una trama in qualche modo permane. Quando una storia si impone tra le altre superando tutte le possibili verifiche allora diviene un progetto, qualcosa attorno cui cominciare a lavorare, qualcosa a cui dare una forma. Il primo momento ideativo, costituisce una sorta di imprinting creativo, qualcosa a cui la storia che si scrive guarda continuamente. Il piacere di immaginare ed inventare una nuova storia è impagabile, la fatica successiva di scriverla qualcosa che, pur nella liberalità di questo impegno, assomiglia molto al lavoro.
La consapevolezza che la parola appena scritta costituisca la conclusione di un racconto è evidente o necessaria?
Sinceramente ciò che ho scritto lo ritengo abbastanza distante dall’essere concluso. Non riesco mai a rileggere un mio romanzo o racconto senza pensare che avrei potuto scrivere meglio alcuni passaggi, alleggerire alcuni personaggi, infittire la trama, scavare maggiormente nella psicologia dei protagonisti, etc. Un romanzo edito e stampato nella sua veste destinata alle librerie ed al pubblico delle lettrici e dei lettori per quanto definitivo, rimane, per me che l’ho scritto, sempre migliorabile. Più che ritenerli conclusi i miei libri preferisco abbandonarli, estraniarmene, considerarli atti creativi realizzati da un me stesso ormai distante nel tempo. Solo in questo modo, percependoli come temporalmente distanti, riesco a considerarli conclusi, riesco a scrivere la parola fine.
C’è stato, nel suo percorso di vita, netto e distinto, un momento di scelta in cui ha affermato a se stesso “devo scrivere?”
No, non ho mai vissuto la scrittura come necessaria. Ho sempre amato scrivere e per quanto a volte questa passione sia anche faticosa rimane appunto qualcosa di piacevole ed appassionante. Ho scritto sempre, prima poesie, poi racconti, racconti di fantascienza, soggetti per documentari ed infine romanzi cercando di definire un mio stile personale.
Lo stile è un passaggio che ciascun autore percorre, può in qualche modo divenire un vincolo?
Non credo, anzi riuscire a creare un proprio stile ed un personale linguaggio letterario e quello a cui aspiro non riuscendoci quasi mai. Il vincolo per me abbastanza stringente è più che lo stile il punto di vista del lettore , la necessità di rendere più semplice e piacevole la lettura dei miei romanzi. Così facendo però credo di sottrarre qualcosa, di rinunciare ad una mia libertà creativa, di ridurre lo spessore delle mie opere. La mia sfida adesso è scrivere qualcosa per me stesso, un’opera che mi soddisfi pienamente senza pensare a chi poi la leggerà.
In quale misura crede che la letteratura oggi riesca ad incidere nella società e con quale forza lo scrivere costituisca un gesto politico?
La letteratura continua ad essere una tra le armi culturali più potenti. Le nostre società si nutrono di storie, le divorano in misura sempre maggiore ed in maniera compulsiva, necessitano dei nostri racconti, di miti ed epos capaci di bilanciare l’irrazionale brutalità della nostra realtà sociale e dei mostri che genera. Le idee che si veicolano scrivendo possono divenire strumenti di liberazione, suggestioni capaci di mettere in movimento collettività. Anche nella letteratura si confrontano visioni del mondo diverse ed a volte contrapposte. Vi è in corso una battaglia per l’egemonia culturale in cui si scontrano idee distanti che aspirano ad una riorganizzazione del mondo radicalmente diversa. Semplificando al massimo questo conflitto mi sembra che da un lato ci sia una visione patriarcale e fallo centrica che immagina un ritorno al passato dentro società identitarie, nazionaliste e chiuse. Dall’altro c’è un’idea più complessa della società che mette al centro la giustizia sociale, le diversità di genere e culturali cercando il mix perfetto dentro cui farle convivere. Sullo sfondo ci sono le guerre, le migrazioni ed i cambiamenti climatici. Ma quello che occorre, quello che ormai in tanti avvertiamo interiormente anche se poi scivoliamo nel nostro modo di vivere consueto e routinario, è un cambio di passo profondo per l’umanità.