“Cinque domande, uno stile” ospita oggi Eugenia Romanelli.
Giornalista e scrittrice da poco in libreria con il suo ultimo romanzo “Mia” edito da Castelvecchi.
Quando accade, quando un’idea, l’Idea, giunge e prende forma, si rappresenta nel suo immaginario, pronta ad essere modellata per diventare una storia, che sensazione si prova?
Sono molto lucida di fronte alle idee. L’emozione arriva quando si concretizza la possibilità di realizzarle. L’idea è fredda, come una scossa elettrica, come una sincope. È un insight. Il momento immediatamente dopo è l’attivazione della mia parte ingegneristica: come realizzarla? Di solito passano settimane, se non giorni, e tutto è già chiaro, ogni passaggio, per vederla nascere. A quel punto è emozione pura, e mi metto al lavoro per dispiegarla e librarla.
La consapevolezza che la parola appena scritta costituisca la conclusione di un racconto è evidente o necessaria?
Non condivido questo assunto. Per me la parola appena scritta è un preliminare. Non so dove mi porterà. E’ la magia della scrittura letteraria.
C’è stato, nel suo percorso di vita, netto e distinto, un momento di scelta in cui ha affermato a se stessa “devo scrivere?”
A 7 anni. Quando scrissi il mio primo articolo per la scuola elementare “alternativa” in cui la mia famiglia, intellettuali molto coinvolti nel movimento degli anni ’70, mi aveva iscritta. E’ qui davanti a me incorniciato, quel breve articoletto, così semplice ma già dotato di climax.
Lo stile è un passaggio che ciascun autore percorre, può in qualche modo divenire un vincolo?
Sì. Per me è un limite. Ma conto già a breve di saperlo trattare come orizzonte.
In quale misura crede che la letteratura oggi riesca ad incidere nella società e con quale forza lo scrivere costituisca un gesto politico?
In una misura piena. Proprio questa settimana vedrà la luce la scuola di scritture Writers Factory che ho appena fondato in risposta alla sua domanda.