“Cinque domande, uno stile”, nell’auspicio che le case editrici sistematicamente inseriscano in copertina il nome del traduttore, ospita Federica Aceto. Traduttrice, si occupa di saggistica, poesia e narrativa. Ha dato una voce italiana a molti tra autori e autrici: Ali Smith, Lisa Halliday, Sheila Heti, Lucia Berlin. Da poco in libreria con “Rumore bianco” di Delillo per Einaudi.
Tradurre è interpretare. Riscrivere. Con quale animo si pone di fronte ad un nuovo lavoro?
Con un atteggiamento di ascolto. Cerco di capire quali sono le dominanti dal punto di vista narrativo, del registro, del suono e del ritmo del testo, per impostare un piano di lavoro, capire cosa va trasportato nel testo d’arrivo e come, cosa va trasformato, e cosa va lasciato andare, cercando di minimizzare le perdite, con la consapevolezza che la mia resa è solo una delle tante e il mio dovere principale, oltre all’ascolto, è la ricerca della coerenza. Mi rendo conto che il mio discorso può sembrare molto vago e teorico, ma in realtà è un lavoro molto pratico, di continuo dialogo, di continua negoziazione con il testo.
Le è mai accaduto di ripensare ad un frammento narrativo che, a distanza di tempo, avrebbe voluto volgere in maniera diversa?
Spessissimo. Infatti tendo a non rileggere le mie traduzioni una volta uscite, se posso evitarlo.
Qual è il libro che ha amato di più da lettrice e quale le ha dato maggiori soddisfazioni da traduttrice?
Da lettrice non sono una persona che ha amori totalizzanti. Ma in momenti diversi della mia vita ho trovato folgoranti Alice nel Paese delle Meraviglie, uno dei primissimi libri che ho letto in inglese da adolescente, Memorie del sottosuolo di Dostoevskij da ragazza e Cosmo di Gombrowicz da adulta. I libri che ho più amato da traduttrice sono stati Magic Kingdom di Stanley Elkin e La donna che scriveva racconti di Lucia Berlin, che per me avrebbe dovuto conservare il bellissimo titolo di Manuale per donne delle pulizie.
Sono tutti libri con un perfetto equilibrio di consapevolezza, follia, sincerità, fantasia, umorismo e compassione umana priva di pietismo e moralismo. Alla fine mi rendo conto che sono queste le cose che più mi toccano nei libri, e nelle storie in genere.
C’è stato, nel suo percorso di vita, netto e distinto, un momento di scelta in cui ha affermato a se stesso “voglio vivere tra i libri e di libri?”
No. Ma ho sempre saputo che volevo vivere tra le storie e di storie, di racconti, di mondi alternativi e speculari a quello reale. Senza storie, senza racconto e senza ascolto non si può vivere; senza libri, volendo, sì. Lo so che ad alcuni potrà sembrare quasi una bestemmia, ma non ho mai fatto mia la feticizzazione – che trovo a volte un po’ classista e miope – del libro e della lettura come mezzi privilegiati per veicolare delle storie.
In quale misura crede che la letteratura oggi riesca ad incidere nella società e con quale forza lo scrivere costituisca un gesto politico?
È una questione troppo complessa e composita, sulla quale cambio idea ogni volta che mi soffermo a pensarci. Comunque in genere credo che la letteratura (come il cinema, come ogni forma di racconto) possa incidere sulla società se non è semplicistica, moralizzante, a tesi, se non cerca di spuntare tutte le caselline giuste di ciò che viene ritenuto buono e accettabile in un dato periodo storico.
Per me il gesto politico – e cioè umanamente universale e profondamente trasformativo – più efficace in campo narrativo consiste nel riuscire a evocare mondi alternativi e coerenti tramite i quali l’autore permette di vivere su un piano allegorico e spirituale in senso lato esperienze che non per forza il lettore avrebbe modo di vivere sul piano reale della propria limitata esistenza, uscendone trasformato, anche se di poco, più ricco, più centrato, più in sintonia con l’umanità universale di cui sopra, con mezzi nuovi per muoversi nella realtà di tutti i giorni in modo più maturo e incisivo. Questa e solo questa è la forza politica insita nel raccontare e nel saper ascoltare, per me. Ed è già tanto, è difficilissimo, soprattutto oggi, soprattutto in Occidente.