Fuani Marino, in occasione dell’uscita del suo nuovo romanzo, “Svegliami a mezzanotte” (Einaudi), è ospite della consueta rubrica “Cinque domande uno stile”.
Scrittrice e giornalista, ha lavorato a lungo come giornalista scrivendo sul Corriere del Mezzogiorno, Flash Art, Prismo, Rivista Studio. Esordisce con “Il panorama alle spalle” (Scatole Parlanti, 2017).
Quando accade, quando un’idea, l’Idea, giunge e prende forma, si rappresenta nel suo immaginario, pronta ad essere modellata per diventare una storia, che sensazione si prova?
Lo trovo sempre entusiasmante, anche perché so, in genere, che quell’intuizione iniziale mi accompagnerà nei mesi e negli anni che dedicherò alla stesura del progetto.
La consapevolezza che la parola appena scritta costituisca la conclusione di un racconto è evidente o necessaria?
Per me è sempre stato piuttosto evidente. Certo, quando si scrive si è anche consapevoli che bisognerà giungere alla parola fine, prima o poi.
C’è stato, nel suo percorso di vita, netto e distinto, un momento di scelta in cui ha affermato a se stessa “devo scrivere?”
Non si è trattato di un imperativo quanto di una necessità. Ma è anche vero che a un certo punto la mia vita ha assunto le sembianze di una storia che meritava di essere raccontata.
Lo stile è un passaggio che ciascun autore percorre, può in qualche modo divenire un vincolo?
Solo nel momento in cui ci si sforza di raccontare qualcosa che in realtà non ci appartiene. In caso contrario quello che si racconta, e il modo in cui lo si fa, viaggiano di pari passo.
In quale misura crede che la letteratura oggi riesca ad incidere nella società e con quale forza lo scrivere costituisca un gesto politico?
Dipende dagli argomenti che sceglie di trattare. Una letteratura impegnata deve saper dare voce anche ai temi più difficili, corteggiare l’indicibile, abbattere muri. Credo sia uno dei suoi compiti principali.