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Galleggiano e non hanno parole


Galleggiano e non hanno parole. Non hanno respiro, rimpianto, rimorso e neppure colore.
Galleggiano e ci stanno a sentire. E imprechiamo con le braccia tese verso il mare, a raccoglierli in massa, a tirarli nel secco. Mentre il sole zampilla tra le onde invadenti che scuotono le nostre gambe più d’ogni altra tempesta.
Mio padre pescava prima che l’alba nascesse, e suo padre, come ancora a ritroso generazioni perdute nel vento.
Mio padre aveva labbra screpolate, e mani dai calli evidenti bruciati dal sole impudente. E aveva dita scarne mio padre, e muscoli tirati senza filo di grasso e il petto minuto e lo sguardo nascosto. E piedi arcuati a far conca tra le onde, per rendere stabile il cammino nell’acque. Con occhi grandi da veder nella notte fissava in basso, come a volere pescare di continuo la terra. Ma la terra non vede tempesta, seppellisce i suoi corpi e non li torna indietro.
Sulla terra rimaniamo senza galleggiare, pieni di parole.
Per mare si va, si attende, consapevoli che nulla trattiene per sè.
I frutti del mare ci davano da mangiare, e l’odore del sale mio padre se lo portava fin dentro casa.
Ho vissuto per anni con quel sentore di mare, tanto da non pensarci più, perso tra i miei libri e gli anni di studio trascorsi in collina.
Lontano dall’eco della risacca, dal vento che smuove la sabbia e ti chiude lo sguardo, dal fulmine che squarcia la notte e disegna un orizzonte che non sai mai quant’è distante.
Da qualche parte è stato detto che tutto ritorna, e se siamo stati cenere cenere saremo e se siamo stati terra terra diventeremo.
Io sono stato mare e nel mare sono ritornato, senza riuscire a sfuggire al destino.
Con una divisa diversa, senza le mani protese al pescato, senza che il mio fiuto carpisse gli umori del vento, attendendo la tempesta nelle giornate di sole.
Mio padre era un pescatore, io un marinaio, capitano di corvetta.
Mio padre pescava solcando le onde, calando le reti, violando le acque.
Loro galleggiano e non servono reti, e non serve neppure violare le acque.
Io me ne resto sul secco, senza odore di sale sulla pelle, e pesco inermi senza colore, rimpianto, rimorso.
E per quanto ne abbia di parole in corpo o ne possa copiare so che non devo lasciarle nel mare.
Ho imparato da mio padre che me le restituirà.

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  1. […] [massimilianocitta.it] Galleggiano e non hanno parole. Non hanno respiro, rimpianto, rimorso e neppure colore. Galleggiano e ci stanno a sentire. E imprechiamo con le braccia tese verso il mare, a raccoglierli in massa, a tirarli nel secco. Mentre il sole zampilla tra le onde invadenti che scuotono le nostre gambe più d’ogni altra tempesta. Mio padre pescava prima che l’alba nascesse, e suo padre, come ancora a ritroso generazioni perdute nel vento. Mio padre aveva labbra screpolate, e mani dai calli evidenti bruciati dal sole impudente. E aveva dita scarne mio padre, e muscoli tirati senza filo di grasso e il petto minuto e lo sguardo nascosto. E piedi arcuati a far conca tra le onde, per rendere stabile il cammino nell’acque. Con occhi grandi da veder nella notte fissava in basso, come a volere pescare di continuo la terra. Ma la terra non vede tempesta, seppellisce i suoi corpi e non li torna indietro. Sulla terra rimaniamo senza galleggiare, pieni di parole. Per mare si va, si attende, consapevoli che nulla trattiene per sè. I frutti del mare ci davano da mangiare, e l’odore del sale mio padre se lo portava fin dentro casa. Ho vissuto per anni con quel sentore di mare, tanto da non pensarci più, perso tra i miei libri e gli anni di studio trascorsi in collina. Lontano dall’eco della risacca, dal vento che smuove la sabbia e ti chiude lo sguardo, dal fulmine che squarcia la notte e disegna un orizzonte che non sai mai quant’è distante. Da qualche parte è stato detto che tutto ritorna, e se siamo stati cenere cenere saremo e se siamo stati terra terra diventeremo. Io sono stato mare e nel mare sono ritornato, senza riuscire a sfuggire al destino. Con una divisa diversa, senza le mani protese al pescato, senza che il mio fiuto carpisse gli umori del vento, attendendo la tempesta nelle giornate di sole. Mio padre era un pescatore, io un marinaio, capitano di corvetta. Mio padre pescava solcando le onde, calando le reti, violando le acque. Loro galleggiano e non servono reti, e non serve neppure violare le acque. Io me ne resto sul secco, senza odore di sale sulla pelle, e pesco inermi senza colore, rimpianto, rimorso. E per quanto ne abbia di parole in corpo o ne possa copiare so che non devo lasciarle nel mare. Ho imparato da mio padre che me le restituirà. […]

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