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Gianpiero Caldarella

 

Oggi la rubrica “Cinque domande, uno stile” ospita Gianpiero Caldarella. Giornalista di inchiesta e arguto autore di satira. Fondatore e direttore del mensile “Pizzino”. È stato, inoltre, vicedirettore del settimanale satirico “Emme”, supplemento de “L’Unità”. Successivamente svolge il ruolo di caporedattore del settimanale “Il Male” di Vauro e Vincino. Autore di una rubrica di satira per Radio 24 dal 2007 al 2009. Nel 2007 vince il premio Montanelli giovani e nel 2011 il premio giornalistico Livio Zanetti. Ha pubblicato “Frammenti di un discorso antimafioso” (Navarra, 2015), “Sdisonorata società” (Navarra, 2010) e ha curato la pubblicazione di “Le rughe sulla frontiera – Lampedusa: restiamo umani!” (Navarra, 2011).

Quando accade, quando un’idea, l’Idea, giunge e prende forma, si rappresenta nel suo immaginario, pronta ad essere modellata per diventare una storia, che sensazione si prova?

Beh, io partirei dalle storie più che dalle idee. E quando parlo di storie mi riferisco a quanto mi accade intorno. Su ciò che è percepibile, e lì mi aiutano i sensi, tutti quanti, e spesso bisogna fare in modo da disattivarne qualcuno per concentrarsi e potenziarne qualcun altro. Chiudere gli occhi può servire ad ascoltare o a fiutare meglio, ad esempio. Quello è l’input, il punto di partenza. Per afferrare meglio il concetto, non è necessario avere molta dimestichezza con l’informatica ma con l’etologia, con lo studio del comportamento animale. A questo livello è la pelle a rilasciare le sensazioni. È una strana bussola la pelle. Non saprei dire se al nord corrisponde il freddo e al sud il caldo, se all’ovest la stanchezza e all’est il vigore, ma credo che si tratti di qualcosa del genere.
Esiste poi un secondo livello, che è quello dell’impercettibile, del non manifesto, di quello che le storie tendono a nascondere e che i sensi non riescono a rilevare. Il mare in cui si naviga è pieno di pericoli, di rocce che affiorano e di altre che sono sommerse, le più pericolose. Bisogna avere un timone per non infrangere lo scafo che è il nostro racconto. Quel timone è l’intelletto, che si nutre di conoscenza, di ricerca, di logica, di esperienza e di intuizione. Ogni volta che si riesce a far emergere una roccia nascosta e a segnarla nella mappa della narrazione, affinché i lettori possano riconoscerla, si ha la sensazione di non aver sprecato del tempo inutilmente. Si ha cioè la sensazione di vivere, e non di sopravvivere in acque putridamente calme.
L’ultimo gradino da salire per dare una forma alla storia è quello dell’associabile, dell’immaginabile. La bussola impazzisce e il timone va in frantumi. La vela diventa il mantello di un supereroe. Ogni direzione a quel punto è possibile. La pizza connection diventa una specialità culinaria. La sensazione è quella della meraviglia. Il timoniere per un attimo ha il potere di governare sulle onde, in superficie e in profondità, come Nettuno. Finito quell’attimo, ridiventa nessuno. Les jeux sont faits!

La consapevolezza che la parola appena scritta costituisca la conclusione di un racconto è evidente o necessaria?

Se non è necessariamente evidente, allora potrebbe essere una non conclusione, come l’inizio di una saga o il frutto di una casualità o una scelta di assoluta libertà da parte dell’autore o molto più frequentemente una brutta conclusione. Quando questo accade, è come se il cordone ombelicale che lega la fine della narrazione col suo inizio, fosse stato reciso troppo in fretta. Ripercorrendo le storie a partire dalla loro fine, di solito il senso della narrazione si manifesta più chiaramente. Non bisogna però dimenticare che c’è una bellezza anche nel nonsense.

C’è stato, nel suo percorso di vita, netto e distinto, un momento di scelta in cui ha affermato a se stesso “devo scrivere?”

Ogni volta che inizio a scrivere.

Lo stile è un passaggio che ciascun autore percorre, può in qualche modo divenire un vincolo?

Anche un rapporto amoroso è un vincolo. Ed è forse la cosa migliore che può capitare nella vita. Il problema credo che stia nell’abitudine e nella noia. La noia che può assalire i lettori ma anche gli autori. Oggi più di ieri la serialità è premiata perché riconoscibile e fidelizzante. Ma gli scrittori possono sopportare il peso di stancarsi ed annoiarsi per continuare ad essere un punto di riferimento per i loro lettori? Anche questo tipo di rapporto può essere visto come un rapporto amoroso. Se non c’è un’evoluzione del rapporto, cioè dello stile, tanto vale separarsi, cioè tacere, oppure divorziare, cioè cambiare mestiere. Poi però ci sono anche i matrimoni di comodo, spesso imposti proprio dal fatto che scrivere in alcuni casi diventa un mestiere. Infine ci sono i matrimoni combinati, quelli architettati dai grossi editori, in cui gli autori sono degli amanti impotenti. Quanti libri non avrebbero mai visto la luce senza quel “viagra” rappresentato dai ghost writers?

In quale misura crede che la letteratura oggi riesca ad incidere nella società e con quale forza lo scrivere costituisca un gesto politico?

Per chi come me ha lavorato per anni con la satira politica questa domanda è come un pugno nello stomaco. I giornali di satira in Italia sono praticamente scomparsi, fatta eccezione per alcune esperienze regionali come lo storico Vernacoliere in Toscana o il giovane Mataran In Friuli. Tutti i giornali soffrono, le edicole chiudono e se il gossip su carta resiste il merito è più dei parrucchieri o delle estetiste che degli editori o dei giornalisti. Ecco, se le sezioni di partito, i circoli politici e gli spazi di partecipazione fossero stati gestiti dai parrucchieri forse oggi non ci troveremmo in questa situazione. Detto ciò, dato che si parla di letteratura, credo che ancora riesca a dare il suo contributo e ad incidere nel dibattito pubblico, ma spesso questo accade solo per dare più strumenti a quanti sono già consapevoli, senza avere possibilità di coinvolgere gli indifferenti. Questi ultimi aumentano sempre più, come gli astensionisti alle urne. Un libro o un qualunque scritto che abbia una valenza politica, vive solo se diventa il punto di partenza di un confronto fra persone che si parlano ed interagiscono. Finché saranno solo gli scandali e le emergenze a dettare l’agenda e a risvegliare l’interesse dei più, solo per brevi o brevissimi periodi, dovremo rassegnarci a vivere in un mondo in cui “l’ordinaria amministrazione” sarà appannaggio delle lobby e dei gruppi di potere.
In rari casi però la scrittura, come gesto politico, riesce a risvegliare qualche indifferente e allora raggiunge il suo scopo. In questo Paese molte cose sono cambiate negli ultimi decenni. A volte per spiegarlo non c’è bisogno di uno storico. Provate ad ascoltare o a riascoltare – se già la conoscete -una canzone come “Cinnamon” degli Offlaga Disco Pax, magari masticando una chewing gum. Poi però non attaccatela sotto la sedia.

 

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