Nuovo appuntamento speciale della rubrica “Cinque domande, uno stile” con i protagonisti del premio Strega 2019.
Oggi è la volta di Gordiano Lupi, direttore editoriale e fondatore della casa editrice “Edizioni il Foglio”, scrittore, saggista, traduttore, cantore di Piombino. Tra la sua sterminata produzione ricordiamo: “Storia della commedia sexy all’italiana” (2017, Ed. Sensoinverso) “Storia popolare di Piombino” (2015, EDF), “Calcio e acciaio” (2014, Acar) e l’ultimo in ordine di tempo, “Sogni e altiforni” scritto a quattro mani con Cristina de Vita (2018, Acar) presentato al premio Strega da Paolo Ruffilli.
Quando accade, quando un’idea, l’Idea, giunge e prende forma, si rappresenta nel suo immaginario, pronta ad essere modellata per diventare una storia, che sensazione si prova?
Non so se sono l’autore più adatto a rispondere a questa domanda. Io non riesco a inventare una storia, devo rubarla dalla realtà. In definitiva sono io che vado incontro all’idea e non viceversa. Non credo al sacro furore delle lettere sotto forma di ispirazione, penso al contrario che un’opera sia frutto di lavoro e di costruzione metodica, pur dovendo restare sincera. Esempio personale. Ho scritto molti romanzi di ambientazione cubana dopo aver conosciuto a fondo la realtà caraibica con tutti i suoi misteri e le sue leggende, ma al tempo steso ho dedicato all’isola di José Martì saggi e traduzioni. In questo periodo della mia vita, invece, è la mia città il centro principale d’interesse, per questo sono venuti fuori alcuni romanzi di ambientazione provinciale, legati a un mondo piccolo. La sensazione che provo dopo aver scritto un romanzo che mi coinvolge fino in fondo è da fucile sparato, come diceva il buon Pavese.
La consapevolezza che la parola appena scritta costituisca la conclusione di un racconto è evidente o necessaria?
Il finale è importante, in ogni racconto, non solo nei thriller. La frase appena scritta dev’essere il miglior finale possibile, deve lasciare in sospeso e deve riuscire a sintetizzare l’esperienza delle pagine precedenti. Mica sempre ci riesco…
C’è stato, nel suo percorso di vita, netto e distinto, un momento di scelta in cui ha affermato a se stesso “devo scrivere?”
Ho sempre preferito lo scrivere al parlare. Si nasce portati alla parola scritta, c’è poco da fare. Ho conservato un tema di quinta elementare dove dico di voler fare lo scrittore e il calciatore. Ho fatto l’uno e l’altro, in fondo.
Lo stile è un passaggio che ciascun autore percorre, può in qualche modo divenire un vincolo?
Lo stile si cambia e si affina. Io mi trovo a cambiare stile da un tipo di romanzo a un altro, da un saggio a un altro. Se rileggo romanzi scritti vent’anni fa, adesso sono soltanto un lettore, non li ripudio, può capitare che mi piacciano pure, ma non sono opere del Gordiano Lupi di oggi. Sono convinto che il mio stile odierno sia riconoscibile, soprattutto nei romanzi minimalisti.
In quale misura crede che la letteratura oggi riesca ad incidere nella società e con quale forza lo scrivere costituisca un gesto politico?
Credo che riesca a incidere poco, ma devo continuare a farlo, perché non sapendo fare altro, mi resta poco altro da fare. Scusate il gioco di parole. La scrittura è politica e sentimento, basta dosare bene l’una e l’altro.