Great Jones Street di Don DeLillo è un romanzo dal fascino evocativo, penetrante e ironico. Di particolare complessità. Lo scrittore americano, uno degli “invisibili” alla stregua di McCarthy e dell’ancor più sfuggente Pynchon, in questa vicenda si muove tra le sfumature dell’identità, della fama e dell’alienazione; riverberi della società moderna. Protagonista è Bucky Wunderlick, una rockstar tormentata che si ritrova a cercare una fuga dalla sua stessa fama. Ad un certo punto avverte un profondo disagio misto al senso di alienazione e smarrimento tali da spingerlo ad abbandonare tutto e ritirarsi in una squallida residenza a Great Jones Street. Fugge dalla pressione e dalla superficialità del mondo dello spettacolo, prova a farlo da sé stesso scivolando nel silenzio che adopera come muro invalicabile tra sé e il resto del mondo.
La prosa di DeLillo come sempre è affilata, evocativa ma al tempo stesso carica d’ironia nell’introspezione del protagonista. L’incedere della narrazione riesce a rendere viva agli occhi del lettore l’atmosfera claustrofobica e surreale in cui si è avvinghiato Bucky e tutto il contesto musicale che lo avvolge. DeLillo ci offre una riflessione articolata sulla natura della fama e sul prezzo che bisogna pagare e sembra un bizzarro andare il viaggio contromano di Bucky, in quest’epoca in cui la spasmodica ricerca d’apparire in primo piano ad ogni sospiro non lascia prigionieri.