Itaca è il grembo materno, il luogo da cui tutto è iniziato. Pervaso dal silenzio che attutisce ogni angoscia, e il rumore non ha ragione d’esistere, perché il rumore è figlio della paura. Tutti proveniamo da Itaca, tutti vogliamo ritornarci. Sputati al mondo con lacrime e urla, nessuno escluso, perché ad Itaca, là dentro, ce ne stavamo sicuri. Tutto ci allontana da Itaca, perché è da lì che dobbiamo fuggire, per sentire rumore, ché in fondo abbiamo terrore, terrore del silenzio. Il silenzio prolungato è assordante, più fragoroso del tonfo di un cannone, e ci angoscia perché lo avvertiamo dentro noi. Ulisse teme, teme che l’ovvio s’insinui nella sua vita, sa bene che quell’esistenza sarà breve e tremolante, lascia Itaca per sentirsi vivo e morire in battaglia. E di Circe ne incontrerà pronte a lasciare residui di anima sulla sua pelle, ma in ogni sguardo Ulisse cerca i suoi occhi, e sente il dolore di una distanza incolmabile, il destino lo tiene lontano, e lo trascina via, come la marea, il destino gli tende la mano e lo strappa a quegli occhi, mentre Penelope attende, e tesse la tela, Penelope spera, Penelope ama. Il destino non è poi così forte se alla fine del viaggio Ulisse ritorna. Sono Penelope e Ulisse al contempo, fuori e dentro Itaca.