– Gian Luigi Beccaria, 2022 – Einaudi – pp. 120 – € 12,00.
«Perché lo scrittore, in un mondo in cui ci si avvia a pensare tutti allo stesso modo, non si inscrive tra i tanti impiegati del progresso, ragionieri del consenso.»
Dove si percorre la strada del “festina lente” e si auspica un incedere riflessivo senza spinte esterne che per inerzia conducano l’essere umano a rotolare verso il gorgo muto. Si cammina lenti su queste pagine, sulle parole, scritte e lette. Parole da ponderare, decifrare; parole su cui ritornare per farsi rivestire.
annotazioni:
«Filologia è quella onorevole arte che esige dal suo cultore soprattutto una cosa, trarsi da parte, lasciarsi tempo, divenire silenzioso, divenire lento, essendo un’arte e una perizia da orafi del la parola, che deve compiere un finissimo attento lavoro e non raggiunge nulla se non lo raggiunge lento»
«Piú saggio in realtà il festina lente, “affrettati lentamente”, l’aureo motto scelto da Aldo Manuzio per i suoi frontespizi, attinto da uno dei quattromila Adagia raccolti e commentati da Erasmo. Dice di averlo preso da una moneta di Vespasiano donatagli dal Bembo»
«se è vero che l’opera letteraria è arte nel senso etimologico del termine, forma in qualche modo “pianificata”, razionalizzata, “struttura” insomma in cui gli indizi singoli ricoprono funzioni ben determinabili per il fine ultimo: l’interpretazione»
«Il contenuto di un testo artistico è inesauribile e imprevedibile, sempre in fuga, tutto non si può capire»
«La velocità è una macchina di dispersione dell’attenzione, annulla la capacità di concentrazione. L’indugio regala invece quel singolare senso del presente e del concreto»
«La magia dello scrittore sta nel saper trovare l’infinito nelle cose semplici, concentrare, isolare il valore ontologico di tutto ciò che esiste, ma senza assolutizzarlo, bensí rispettandolo nel suo essere, rispettando il “minimo”, perché ha una sua importanza ed essenzialità.»
«la letteratura oggi in calo se non sul piano dei valori certo sul piano della considerazione generale, che la reputa sempre di piú “un lusso appassionato” che distoglie le energie dello spirito da usi piú utili, pratici, concreti.»
«Compito primario della scuola dovrebbe invece essere l’educazione al leggere e al commentare: l’attenzione al testo, quella che ci insegna a stare a tu per tu con un oggetto, da digerire lentamente, da analizzare, da capire, indugiando sulle parole, sulla sintassi, sulla costruzione del tutto (lingua, e contenuti).»
«Una lingua non è un puro strumento di comunicazione, un elemento meramente “funzionale”. Non è solo un codice, come un qualsiasi altro sistema segnico convenuto, non esprime soltanto delle operazioni mentali sul piano comunicativo. Una lingua è colma di “umori”, di stratificazioni, di armoniche, di evocazioni, di allusioni culte e anche immediate e “popolari”, ricchezza di varianti e di registri, ha radici profonde, e si ramifica in continui richiami e rimandi. Per tutti questi motivi “mette a contatto” profondo chi parla e chi ascolta, chi scrive e chi legge.»
«il poeta “non trasmette ma genera una realtà”»
«in questa prospettiva aziendale, di una scuola come addestramento professionale, anche la terminologia sa di mercato, segue logiche di matrice produttivistica: crediti, debiti, prodotto»
«Intanto una sterpaglia ingombrante (dettata da un didattichese triste, noioso, messo in piedi da “scienziati della scuola” che hanno generato un allontanamento anziché un avvicinamento ai testi, alla loro lettura) ha invaso i manuali. Parole terrificanti si sono accampate nelle «schede mirate», tra riquadri a colori delle antologie: Parte operativa, Verifica sommativa, Percorso formativo, Prerequisiti, Prove d’ingresso, Pianificazione dell’offerta…»
«L’abbassamento della qualità dell’istruzione ha in questo mezzo secolo danneggiato i ceti popolari e ampliato il vantaggio dei ceti alti. La scuola senza qualità secerne sempre disuguaglianza, la scuola di qualità attenua invece lo svantaggio dei ceti popolari. L’istruzione risulta “democratica” se il livello resta elevato[…] la scuola non deve adeguarsi alle scelte piú condivise, combaciare, copiare, reduplicare il mondo, ma porlo in discussione, per arricchirlo.»
«Il lavoro sulla lingua non costituisce piú per l’autore la preoccupazione prima. Funziona meglio un piú neutro “grado zero”, oppure una frettolosa simulazione di oralità.»
«Spesso non si capisce piú in che cosa si distinguano letteratura e articolo di cronaca o di attualità giornalistica, che cosa li separi, perché la lingua è piú o meno la stessa. Sembra che stia sparendo lo specifico del “letterario”»
«Apro lo Zibaldone di Leopardi in data 2 aprile 1827 e vi leggo: disgraziatamente l’arte e lo studio son cose oramai ignote, e sbandite dalla professione di scriver libri. Lo stile non è piú oggetto di pensiero alcuno. […] Troppa è la copia dei libri o buoni o cattivi o mediocri che escono ogni giorno, e che per necessità fanno dimenticare quelli del giorno innanzi; sian pure eccellenti. […] La sorte dei libri oggi è come quella degli insetti chiamati efimeri: alcune specie vivono poche ore, alcune una notte, altre tre o quattro giorni; ma sempre si tratta di giorni.»
«La bellezza di una narrazione non risiede nello scorrere di una trama, nel dipanarsi di una “storia”. Sta nel come le cose sono dette, i suoi spezzoni sono registrati e montati, nel come è fatta e come si è fatta l’opera. Un testo non si riduce alla vicenda narrata. Conta la “costruzione” della storia, il come è fatto quello che l’autore dice.»
«Non è mai la storia di un romanzo, la trama di un film, il personaggio di un quadro, che fanno di quel romanzo di quel film di quel quadro un’opera di rilievo, ma è come quella storia, quella vicenda, quel personaggio sono raccontati. […] Non conta solo quello che si dice, ma è anche la maniera, il come è fatto quello che lo scrittore dice, il modo con cui lo dice. E ciò è tutto nelle sue mani, dipende dalla sua capacità di saper cucire l’insieme: “cucire le parole”. […] lo scrittore confeziona un’opera come una sarta cuce un vestito, lavorando in modo incessante, meticoloso, costruttivo, “aggiuntivo” […] Lo scrivere non è mai il dire. Lo scrivere è un di piú. […] Non ci attraggono racconti, fatti, fenomeni sociali che tendono a lasciarsi rappresentare da una lingua “automatica”, che ha il sopravvento su ogni rielaborazione. L’autore come faber sembra stia per diventare quasi una figura d’altri tempi. […] Si dimentica che lo scrivere rispetto al dire comporta un surplus di rielaborazione. […] Ha sempre contato molto il lavorio di lima d’autore, dell’auctore (m), che (etimologicamente) è (non a caso) colui che fa “crescere” (viene difatti dal verbo augere).»
«Ogni lettore, quando legge, è il lettore di se stesso. L’opera è solo una sorta di strumento ottico che lo scrittore offre al lettore per consentirgli di scoprire ciò che forse, senza il libro, non avrebbe visto in se stesso. Il riconoscimento dentro di sé, da parte del lettore, di ciò che il libro dice, è la prova della sua verità»
«scrive Olof Lagercrantz: la mia vita subí una dilatazione. Essi mi facevano vedere ciò che io non ero in grado di vedere da solo, e incontrare personaggi che vivevano piú intensamente e drammaticamente di quanto facessi io. Erano creature di un mondo diverso e piú elevato. Si prendevano cura di me e mi permettevano di stare presso di loro e di essere attivo, ricco, povero, buono e malvagio come loro».
«Una biblioteca è la vittoria della memoria sull’oblio.»
«Si nasce scrittori sulle spalle del tanto leggere.»
«Forse la letteratura non è che una corrente di citazioni e recitazioni: vocali, scritturali-visive, sotterranee, rasoterra e in piena luce, in frammentazioni di singoli enunciati o di comportamenti
di codici. La letteratura esiste quasi come invito a entrare in un coro di citazioni. Ma poi si sa che nella citazione mai ritorna il “com’era”» (scriveva Zanzotto)
«Con la lingua lo scrittore «combatte ogni giorno», la lingua è “la sua arma tagliente e il suo temibile avversario”»
«Uno scrittore deve avere la risolutezza di raschiare la muffa di dosso alle parole per evitare la routine, il troppo sciatto, la neutralità espressiva. Le parole sono dunque un mezzo completamente in mano sua: parole vecchie da reinventare, parole nuove da forgiare, incastri e congiunzioni di segmenti narrativi o ritmici, montaggi e sequenze inattese.»
«Scrive Charles Bukowski: “[…] nessuno è | un “grande” scrittore. | Può esserlo | stato, | ma scrivere è un’impresa | che ricomincia da capo | ogni volta | e tutti gli elogi, | i sigari, le bottiglie | di vino inviate | in tuo onore | non garantiscono | come sarà la riga successiva, | e soltanto quella conta, | il passato è | inutile, | siede sulle ginocchia | degli dei”»
«Molto lentamente. Scrivo per paragrafi minimi. Non soltanto non sono capace di scrivere un capitolo in un’unica tirata, ma nemmeno piú pagine. Ritorno di continuo sul lavoro come un regista. E affronto un nuovo paragrafo soltanto quando sono soddisfatto di quello precedente. Non dimentichiamo che ho iniziato scrivendo poesie»
«La scienza non dice se non quello che dice, mentre la pagina letteraria continua a dire: può essere usata un’infinità di volte, e il senso può rinnovarsi individualmente ogni volta.»
«Conrad scrisse a un amico: “Che notizia meravigliosamente buona che proprio tu apprezzi il mio libro, perché si scrive soltanto una metà del libro, dell’altra metà si deve occupare il lettore”»
«Il sistema del sapere è diventato un sistema di accumulazione e diffusione di dati che non sono caratterizzati dalla loro integrazione, mediazione, ma dalla velocità con cui vengono trasmessi»
«una cosa è poter avere a disposizione ciò che ti serve di una biblioteca, altra cosa saper usare il libro che ti interessa. L’uso dei dati ha da essere, come sempre, consapevole. Bisogna saperci riflettere su: la disponibilità è soltanto un materiale, che può diventare brutale se non accompagnato dalla sapienza critica di chi usa i dati a disposizione e riesce a coordinarli, collegarli, ricostruirne la “sintassi”»