La luna e i falò •••••
– Cesare Pavese, 2019 – Einaudi – Corsera – pp. 167 – € 7,90.
Un romanzo, un solo romanzo lungo tutta una vita, seppur breve. La miseria che cresce a ridosso di una guerra civile a venire. L’amicizia, l’apprendimento, la lacerazione di una condizione inferiore, bastarda. Senza identità. La fuga, il ritorno, l’appartenenza, la radice che non demorde d’essere propria alla terra, a quella terra. E si fa albero. E s’alza, e vive, comunque vadano le cose, perché ogni cosa vale la pena d’esser raccontata, dopo l’esser stata vissuta. Anche se brevemente.
«Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti. Ma non è facile starci tranquillo […] quella sua idea che le cose bisogna capirle, aggiustarle, che il mondo è mal fatto e che a tutti interessa cambiarlo […] voleva ancora capire il mondo, cambiare le cose, rompere le stagioni. O forse no, credeva sempre nella luna. Ma io, che non credevo nella luna, sapevo che tutto sommato soltanto le stagioni contano, e le stagioni sono quelle che ti hanno fatto le ossa, che hai mangiato quand’eri ragazzo […] Gli diceva che sono soltanto i cani che abbaiano e saltano addosso ai cani forestieri e che il padrone aizza un cane per interesse, per restare padrone, ma se i cani non fossero bestie si metterebbero d’accordo e abbaierebbero addosso al padrone […] si era messo a gridare che nessuno nasce pelandrone né cattivo né delinquente; la gente nasce tutta uguale, e sono solamente gli altri che trattandoti male ti guastano il sangue […] ogni casa, ogni cortile, ogni terrazzo, è stato qualcosa per qualcuno e, più ancora che al danno materiale e ai morti, dispiace pensare a tanti anni vissuti, tante memorie, spariti così in una notte senza lasciare un segno […] vivere in un buco o in un palazzo è lo stesso, che il sangue è rosso dappertutto, e tutti vogliono esser ricchi, innamorati, far fortuna »