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Io un lavoro ce l'ho


A chi lavora per un pezzo di fame
e nessuno conosce.

Andrea l’ho conosciuto un pomeriggio d’estate. Eravamo scese al mare. In una giornata particolare. Non accadeva spesso di prenderci un pomeriggio tutto per noi. Eppure quella volta, io, Gianna e Adriana pensammo di farlo. Di dedicare un po’ del tempo concessoci dal buon dio a noi stesse. Nonostante Adriana avesse messo il freno all’iniziale entusiasmo. Si sentiva grassa, fuori forma, e quasi piangeva perchè il costume che aveva indossato appena l’estate prima non ne voleva sapere di entrarle. O meglio, lei, e lo diceva tra il sorriso e la lacrima, aveva provato in tutti modi ad infilarcisi dentro, ma niente. S’era perfino sfilato nell’allacciatura della parte superiore del bikini. Alla fine Gianna, che in realtà è taglia forte, le prestò uno dei suoi. E comodamente anche Adriana ha potuto passeggiare lungo la spiaggia con noi. È bastato poco in verità. Qualche schizzo d’acqua, una corsetta e gli occhi di un gruppo di ragazzi a puntarci tutto il pomeriggio per tirar su l’iniziale tristezza di Adri. E Andrea era uno di loro. Uno di quelli che insinuavano con battutine la nostra tranquilla abbronzatura, ci lanciavano di proposito la palla addosso, e come tori imbestialiti sollevavano tempeste di sabbia sui nostri bagnasciuga. Tutti atteggiamenti da bulletti che a noi non dispiacevano affatto. Sentivamo d’essere rimaste indietro, troppo a lungo. Alcune amiche ci raccontavano delle loro storie. Di amori, di storiacce consumate al lume di un retrobottega, al riparo di mogli e fidanzate. Storie di sesso, e lo facevano così, senza alcun pudore. Io mi ritenevo una cenerentola ai loro occhi, ma ancora ammiccavo, e non lo davo a vedere. Quelle amiche un lavoro non l’avevano mica però. Io sì. E non credo avrei potuto trovare di meglio per quello che in giro c’era. Anzi non c’era. Eppure, talvolta, avrei voluto barattare il mio alzarmi al mattino con le dita intirizzite dal freddo e gli occhi appiccicati con le loro storiacce. Poi venne Andrea, e con lui l’ardore di ciò che m’era mancato nelle notti d’inverno, sola, nascosta sotto al piumino di una vita, ormai liso dalle stagioni. Andrea mi ha fatto donna ed io, per quel che ho potuto, ho fatto di lui un uomo. Dicevano ch’era un poco di buono, uno scansafatiche, uno dai vizi facili. Io sono certa d’averne fatto un uomo migliore, in molti me lo hanno detto, e dato merito. Da me ha preso l’idea di responsabilità che prima sconosceva, il rispetto per le diverse opinioni. In quattro anni siamo cresciuti insieme. E assieme a noi il piccolo Luca. Sarà banale dirlo, ma il frutto delle prime sere di passione sta qui, ogni mattino davanti ai miei occhi. E chiede, non finisce mai di far domande. Con la sua lingua di pezza e le parole ancora da compiere tra le labbra. Ha occhi vivi, e un sorriso dolce che mi vien difficile lasciare oltre la porta di casa. Ma il lavoro m’aspetta. Molti dicono che avrei potuto trovare di meglio. Da Andrea ad un mestiere diverso. Dicono che bisogna farsi rispettare, che non è roba da gente civile ritrovarsi a cucire per pochi spiccioli in un posto che trema al solo respirare. Ma alla fine ci si abitua a molte cose. Io ho la capacità di sapermi adattare, è una dote dice nonna. Sono riuscita a farlo a lavoro, a riempire comunque le borse della spesa tirando qua e là. A vestire Luca per il meglio che posso dargli. A vivere senza Andrea che un bel mattino ha pensato bene d’uscire senza dire nulla. Di lui mi resta il ricordo delle spalle che si allontanano senza più tornare. E il sorriso di Luca che non so lasciare. Ma anche a questo ci si abitua, e devo andare a lavorare.

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