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Lettera alla madre

Madre ho finito tutto e tutto mi sembra finire.
Le mie tasche sono vuote, provo a rivoltarle ma non esce che polvere, nemmeno molliche, ché da notti non mangio bocconi.
Neppure amari.
Madre ho fumato tutto e tutto intorno è andato in fumo.
Adesso me ne sto qui, fermo sul marciapiede, a respirare l’aria che spezza il fiato, fredda come la neve, ma senza che il suo candore venga a rinfrescare la mia anima, me ne sto qui, fermo sulle gambe tremanti, fiancheggiato da un canale, uno dei tanti, che confondono il cammino, e disperdono la strada, me ne sto qui sul ciglio mentre l’acqua scivola lenta in cerca della foce che accolga il suo tormento.
Scivola entro gli argini e non dice parola alcuna che io possa capire.
In qualche istante ho creduto di farlo, di prenderlo anch’io quel largo, di uscirne fuori, alla foce del mondo, un mondo brillante lesto ad accogliere le voglie di un uomo brillante, ma non tutto è reale scintillio, la polvere lo copre, ci copre, e la vergogna nasconde le nudità, e nudo mi sono trovato.
Ho provato a prendere il largo uscendo fuori dal borgo, e lontano da casa adesso rimango qui.
Solo.
Madre non vedo nessuno attorno, nemmeno l’ombra di me stesso segue più i miei passi, sdegnata m’ha lasciato, corre dietro l’incedere di qualcun altro.
Solo, tra ratti che scorrazzano lungo la via e mordono forte, è un dolore che non so dirti.
Madre ho bevuto tutto, e nulla mi resta da bere.
Nascondo le mie mani che poco sanno fare,  e il rumore sordo dei pensieri opprime la mente.
So di non aver peccato, eppure sento il peso della colpa vivo sulla mia pelle, e ogni giorno che passa muoio un po’.
Vorrei che fosse tutto d’un fiato, ma non m’è rimasto coraggio neppure per quello, per bere l’ultimo cicchetto di vita che mi rimane.

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