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Lo scalpellino


All’imbrunire l’orizzonte si confonde con il cielo, lo sguardo si staglia sulla valle in un gioco di contrasti e rivoluzioni, in cui resta l’amaro sapore dell’utopia. Un giorno chi sta in alto scenderà agli inferi per constatarne il sapore? La vita ci cambia, amico mio, che nemmeno t’accorgi, e plasma con le sue mani grevi i volti innocenti che abbiamo indossato. Il tempo si posa sulla pelle e come uno scalpellino insolente tira via, e strappa, lacera e lascia le memorie a scivolare sul ciglio della strada, ché non fai in tempo a raccattarle, il vento se l’è fottute via. Qui lo scirocco è lontano, e le fiamme infami sono riflesso di un’immagine televisiva. Qui il tepore delle voci che a lungo m’hanno cullato si fa fragile, come le loro braccia, dolce come i loro occhi, arrossati dalla fatica del vivere. Qui la pioggia scende fitta, forte, e picchia sull’asfalto, e picchia sulla testa come i pensieri che non danno tregua. Lo scrittore sibila, ché non ha più molte parole. Cerca e guarda, che oltre la pianura possa trovarne, qualcuna. Forse una soltanto, che sa di voler pronunciare davanti a quel nome. Eppure continua ad incespicare dentro i ricordi d’infanzia che non mollano un passo, e stanno lì, rigurgiti che tracciano una scia di sangue. Dall’alba al tramonto. Le pagine bianche l’accompagnano, lungo la ripida salita, e il motore gracchiante spinge su. Mi pagano per far ascoltare Mozart, dice col sorriso smorzato, eppure talvolta, la musica suona così lontana da volerne implorare un’eco più fragorosa. L’eco delle parole lette in questi giorni, dette in questi anni, bruciate dal tempo. Sì, il tempo, l’insolente scalpello che gioca a ridisegnare i vestiti che abbiamo indossato. Ne confezionerà di nuovi, e noi lì a provarli, a provarci. A cercare di restarci dentro, ancora un po’.

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