Per la rubrica #5domande1stile oggi ospitiamo Lorenzo Marone. Ex avvocato con il vizio della scrittura si abbandona completamente alla letteratura quando nel 2012 con “Daria” (La gru) segna il suo esordio. Da lì in poi la strada è tracciata. Seguiranno altre storie, tra cui “La tentazione di essere felici” (2015, Longanesi), “Magari domani resto” (2017, Feltrinelli) e “Un ragazzo normale” (2018, Feltrinelli).
Quando accade, quando un’idea, l’Idea, giunge e prende forma, si rappresenta nel suo immaginario, pronta ad essere modellata per diventare una storia, che sensazione si prova?
Una bella sensazione, anche se non sempre arriva l’Idea con la maiuscola. Spesso sono tante piccole idee che poi formano un insieme. L’importante è segnarsi sempre tutto. Io parto in genere da un personaggio e poco altro, viene tutto scrivendo.
La consapevolezza che la parola appena scritta costituisca la conclusione di un racconto è evidente o necessaria?
Quando arriva l’ultima parola, lo sai, lo avverti dentro di te. Ed è una sensazione magnifica.
C’è stato, nel suo percorso di vita, netto e distinto, un momento di scelta in cui ha affermato a se stesso “devo scrivere?”
A un certo punto ho sentito l’esigenza di “usare” la scrittura per evadere da un quotidiano pesante, un modo anche per esternare il mio mondo interiore che non mostravo (e non mostro facilmente nemmeno oggi) a nessuno.
Lo stile è un passaggio che ciascun autore percorre, può in qualche modo divenire un vincolo?
Io amo il contenuto, non mi piace lo stile fine a se stesso, anche perché spesso la scrittura si fa barriera e non permette il passaggio delle emozioni, che dovrebbe essere, a mio avviso, il fine ultimo della lettura; la condivisione di emozioni fra chi scrive e chi legge. Chi è troppo attento allo stile, ha poco da raccontare, secondo me. Poi ci sono pochi che riescono a essere “alti” e a narrare. Ma sono davvero pochi.
In quale misura crede che la letteratura oggi riesca ad incidere nella società e con quale forza lo scrivere costituisca un gesto politico?
Purtroppo la letteratura, come il giornalismo, ha sempre minore impatto sull’opinione pubblica. È uno strumento minoritario, da questo punto di vista. Però chi scrive ha il dovere di dire la sua, di raccontare come stanno le cose, di mostrare il suo sguardo. Il dovere di esporsi, di mettersi a nudo, di schierarsi.