Meridiano di Sangue di Cormac McCarthy (portato in Italia da Einaudi nella traduzione di Raul Montanari) è un romanzo che trasuda bellezza e brutalità.
La vicenda si dipana nel selvaggio West americano del XIX secolo, un mondo pregno di violenza implacabile, in cui il confine tra civiltà e barbarie è sottile come una lama di sangue.
Lo stile crudo ed essenziale (celebri sono le descrizioni di scene particolarmente violente che con linguaggio scarno creano immagini di notevole impatto) segna il passo del giovane protagonista senza nome. “Il Ragazzo”, un orfano sopravvissuto a una strage che si ritrova coinvolto in un’avventura sanguinosa.
La storia ci spinge a riflettere sulla condizione umana, sulla violenza che si nasconde in ogni individuo e sulla lotta indomita tra il bene e il male. McCarthy mette in discussione i valori morali e le certezze della società, costringendoci ad affrontare l’oscurità che alberga in noi.
Il personaggio del Giudice Holden, mentore in un certo senso del protagonista, rappresenta la personificazione stessa del male, un antagonista affascinante e spaventoso che incarna il lato più oscuro dell’essere umano.
Come ha scritto Fernanda Pivano, McCarthy ha riportato le storie nelle praterie, riuscendo a catturare l’essenza della frontiera americana, un luogo di violenza e speranza, dove l’umanità si scontra con la natura selvaggia e con sé stessa.
Meridiano di Sangue può risultare una lettura impegnativa e talvolta disturbante, un’opera che ci costringe a guardare negli abissi dell’animo umano e ad affrontare la complessità e la violenza della nostra stessa natura, ma ha le stimmate di un capolavoro assoluto della letteratura contemporanea che è già un classico.