Nati due volte ••••
– Giuseppe Pontiggia, 2015 – Mondadori – pp. 224 – € 13,00.
Dolce e amaro, scanzonato e profondo. Pontiggia si muove sul terreno a lui ben congeniale del vissuto familiare per raccontare una storia, la sua storia, in maniera estremamente delicata. Nel bene e nel male, col bene e col male. Così scivola via la vita di una famiglia disabile, come vuole la società. Episodi grotteschi, toccanti, carichi di dolcezza, esasperanti. Chiosa struggente. Come la vita è, per chi continua a vivere sull’orlo del pregiudizio.
“Quando Einstein, alla domanda del passaporto, risponde “razza umana”, non ignora le differenze, le omette in un orizzonte più ampio, che le include e le supera. E’ questo il paesaggio che si deve aprire: sia a chi fa della differenza una discriminazione, sia a chi, per evitare una discriminazione, nega la differenza. […] Noi siamo abituati al male. Il male conferma la nostra superiorità o conforta la nostra debolezza. Ci è così familiare che il bene ci sconcerta e cerchiamo di ridurlo al male, commutandolo di segno e assimilandolo ai modelli negativi che ci sono noti. L’ho osservato nelle reazioni più comuni, compresa la mia, di fronte al volontariato. La tendenza è di interpretare l’altruismo come controfigura dell’egoismo, la generosità come gratificazione di chi la esercita, la solidarietà come aiuto provvidenziale a se stessi, il sacrificio dell’Io come ricatto di un Super-io tirannico. Non si impara neppure dalla etologia, saccheggiata per spiegare l’aggressività, ma mai il suo contrario. Gli animali che si sacrificano per la prole o per gli altri sono anche loro vittime di un Super-io? No, dell’istinto, risponde l’etologia. Ma all’uomo si nega questo istinto positivo, per dotarlo invece di tutti gli altri. Il male – contrariamente a quanto si pensa – è rassicurante, lo veneriamo nei mostri, giustifica le vendette, mobilita le difese, rafforza la durezza del cuore. Il bene è un esempio inimitabile (vogliamo confrontarlo con il male?), supera fossati e mura che approntiamo contro il nemico, elude gli infiniti cavilli della intelligenza, disorienta l’astuzia perché la ignora, è disarmato e semplice. Il male ci incuriosisce e ci eccita, stimola l’investigazione, si cela nell’ultima stanza, quella del segreto infame. Il bene apre le porte, non nasconde nulla, si apparta solamente per non farsi notare. Il male promette misteri, il bene è un mistero luminoso, una presenza inaccettabile. Sto parlando con cognizione di causa, ma sono in buona – o almeno numerosa – compagnia. Per molti uomini nulla è più edificante che la distruzione e nulla più ripugnante che la edificazione. Che le ideologie abbiano nel nostro secolo generato stermini non è perché additavano un paradiso remoto, ma perché prima dovevano realizzare un inferno immediato. Certo è più confortante – e soprattutto etico – capovolgere le gerarchie. E’ un alibi di cui tutto si può dire tranne che non se ne sia approfittato. Sto esagerando? Ma solo le esagerazioni ci restituiscono, nella caricatura, l’immagine in cui riconosciamo l’originale. […] Una volta, mentre lo guardavo come se lui fosse un altro e io un altro, mi ha salutato. Sorrideva e si è appoggiato contro il muro. E’ stato come se ci fossimo incontrati per sempre, per un attimo.”