Padre mio, questi chiodi fanno male. Vivi nella pelle il sangue li colora, ma non durerà. Sento freddo e il ferro penetra e spezza le ossa, e le gambe non sanno più sostenere i passi. Il sole si spegne muto oltre l’orizzonte e disegna ombre lunghe sul selciato. Il vento accarezza gli occhi di chi mi guarda e piega loro le ginocchia. Un tappeto d’anime di fuochi fatui.
Si stendono sulla terra arida mentre i miei sospiri tremano.
E tremano loro con me.
Nelle parole, nelle dita scarne che affondano sulla sabbia, e tremano nelle preghiere che non sanno dire. Tremano tra le lacrime, con la paura che qualcuno possa scorgerle scivolare sul viso pronte a ridurle in catene. Sono esili imbarcazioni sperdute nel mare, vittime di una rivoluzione che mai potrà avvenire, mentre il vento soffia forte e le allontana dalla riva. Tendono le loro braccia verso un rifugio sicuro che hanno intravisto nel sogno, e sanno d’aver per sempre perduto in vita.
Padre mio, questi chiodi fanno male, e non chiamano rivoluzioni, ma requie.
Il manipolo di soldati che mi ha seguito lungo il cammino non sa di guerre e lotte, non sa parole umane da scambiare al mercato e non ha armi da sfoderare alla bisogna.
Erano soldati scalzi e senza denti, erano vestiti di cenci rubati alla miseria, e avevano pidocchi a saltellare per le ciocche di capelli senza cura. E pargoli smunti dalla fame che tenevano per mano, con dolcezza, nella paura di far loro del male. E avevano giare piene di crepe cariche d’acqua stantia a poggiare sul capo. Giare riempite alla foce del fiume, lontano miglia e miglia dal giaciglio che li riparava dalla notte. E avevano freddo nelle ossa, proprio come me oggi, ma non chiodi conficcati sulla pelle. E avevano case fragili ad attenderli sul far della sera, e il vivo timore del vento che avrebbe potuto lasciarli nudi tra la notte e il giorno, scoperti nelle loro misere banalità, umane. Troppo umane per potersi raccontare.
I miei occhi, così come i tuoi, hanno visto poco del loro incedere verso questo monte.
Eppure sono qui, increduli.
Increduli e tremanti.
Ed io con loro, sospeso su quest’incrocio di assi.
Il legno mi sostiene ma non sa di che parlare. Una cornacchia svolazza sul mio capo in attesa. Qua e là volteggia nell’oscurità, e mi scruta con occhietti vispi che tanto sanno di sorella morte. Indispettita per il mio respiro ancora caldo pianta le sue zampe aguzze sul capo e sfalda i capelli, e lembi di pelle. Ma non può durare.
Padre questi chiodi fanno male, e non vedo ragione.
Per rimanere qui, su queste assi sospeso, a scorgere il mondo dall’alto, lontano da tutto, distante dai miei poveri soldati.
Li ho forse armati di parole giuste? E di sole parole potranno combattere la rivoluzione? Ed è ancora necessario pensare di combattere per la rivoluzione?
Padre mio questi chiodi fanno male e vorrei morire per non sentirne il freddo dentro.