La rubrica “Avanscoperta” ospita Claudia Calabrese, docente e ricercatrice. Il suo lavoro sul rapporto tra Pasolini e la musica è confluito nel volume “Pasolini e la musica, la musica e Pasolini” (2019, Diastema).
Quando si pensa a Pasolini non viene certo immediata l’associazione del Poeta con la musica, da quale spunto ha preso avvio il suo lavoro, quale è stato il metodo per la redazione del testo e quali le conclusioni?
Questo libro nasce dalla combinazione di due mie passioni: la musica e la letteratura. Già al tempo dell’università, leggevo le poesie di Pasolini con un orecchio attento alle sonorità del friulano. Nel 2014 ho iniziato a lavorare al libro nell’ambito di un dottorato di ricerca. E’ un lavoro interdisciplinare, il che è necessario trattandosi di Pasolini per la natura della sua opera sempre rivolta al pastiche. La specularità del titolo del libro allude alla divisione in due movimenti del tema: c’è un movimento di Pasolini verso la musica ma c’è anche un movimento della musica verso Pasolini. È interessante questa reciprocità, vi chiedo di provare a cercare notizie sulle intonazioni dei versi di Pasolini o sulle composizioni musicali che s’ispirano all’opera e alla stessa vita del poeta. Si tratta di compositori appartenenti a generi, stili ed epoche diversissimi, dal pop all’indie, al cantautorato, alla musica colta d’avanguardia, al folk, che hanno dialogato e dialogano tuttora, in un flusso inarrestabile, con l’opera del poeta. L’analisi approfondita di alcune di queste opere – Sylvano Bussotti/Pasolini: “Memoria”/”Alla bandiera rossa”, Ettore De Carolis/Pasolini: “Danze della sera”/”Notturno”, e Domenico Modugno/Pasolini “Che cosa sono le nuvole?” Canzone dell’omonimo cortometraggio – vuole essere uno spunto di riflessione utile a chi voglia comprendere su quali incastri poggi il rapporto di reciprocità tra Pasolini e la musica. Il sostantivo baudelairiano correspondances rinvia a questo scambio e ancora di più evoca il rapporto segreto fra il poeta e le cose del mondo cariche di simboli che esprimono la loro più natura anche attraverso i suoni. Le conclusioni sono sospese sia per la natura della materia sia perché il tema è talmente vasto che richiederebbe altri studi approfonditi. Posso dire si scopre che Pasolini nell’arco della vita e nell’opera affida a Musica e suoni un compito, a mio avviso, non tanto di natura estetica ma antropologico e culturale: come Orfeo con la cetra o Gesù con la parola, Pasolini con musica e suoni non vuole incantare e meravigliare ma vorrebbe smuovere le montagne e indicare che è possibile raggiungere un altrove sacro che riveli all’uomo un senso profondo al proprio esistere. Questo “altrove” fa parte della sua ricerca di verità che non ci deve far pensare a qualcosa che è lontana ed esterna all’uomo ma alle viscere che sono presenti nel profondo dell’uomo e sono la sorgente da cui tutto proviene dove risiede il sacro (sacralità laica) che è eterno e inesprimibile, che la musica e i suoni hanno il potere di evocare e portare in superficie.
Il 2022 porta con sé l’anniversario della nascita di Pasolini. Sono trascorsi 100 anni e in molti si apprestano a celebrarlo con uscite commemorative, seriali e di tal sorta. Nel tentativo di considerare un bilancio o una possibile germinazione del suo passaggio nel panorama culturale e letterario, quali tracce individua ad oggi nella cultura italiana che possano essere ricondotte all’opera del Poeta?
Cosa risulta oggi del lascito culturale di Pasolini credo sia sotto i nostri occhi. Pasolini negli anni Settanta inveisce contro il “Nuovo Fascismo” dei consumi che rende gli uomini sudditi di un Potere che mercifica ogni cosa, persino i corpi. Sulla cosiddetta “mutazione antropologica” e sulle conseguenze del desiderio dei consumi che omologa e agisce nell’esistenza di ognuno di noi e sul fatto che questo è in grado di recidere le radici di un popolo, ma anche quelle individuali, Pasolini aveva sicuramente visto giusto. Aveva ragione anche sul fatto che in una situazione di questo genere l’uomo in qualche modo debba ripartire dal recupero dell’arcaico che c’è in sé, passando attraverso la cultura greca (Medea, Edipo re, ecc.). Quanto agli strumenti espressivi di cui Pasolini si è servito credo che ci abbia lasciato la consapevolezza che se vogliamo evocare la “realtà” nel suo insieme che è qualcosa di più complesso delle singole parti di cui si compone dobbiamo ricorrere al pastiche, l’unico modo di rappresentare la complessità del reale. Oggi qualsiasi forma di comunicazione che passa dal web è improntata al pastiche, la realtà è ancora più complessa rispetto al tempo di Pasolini; con la globalizzazione, i nuovi media, Internet, in cui reale e virtuale si mescolano, i rapporti vissuti sempre più attraverso i ‘social’, anche i codici espressivi sono diventati “liquidi”. Ma contemporaneamente credo anche sia cresciuta la necessità di ricercare identità e autenticità. In questo senso, le ricerche di Pasolini, linguistiche ma anche esistenziali, sopravvivono, mi sembra, soprattutto tra i giovani. Per rimanere in campo musicale basti pensare a tanta produzione indie che di Pasolini riprende il messaggio e lo ripropone dandogli nuova vita. C’è una cosa sulla quale Pasolini non è riuscito a lasciare alcuna eredità: mi riferisco al ruolo dell’intellettuale che si interroga sui grandi problemi della propria epoca, accettando anche la persecuzione. Non è accattivante quel ruolo, ma insomma se l’intellettuale, e l’artista, non lo assume, o non affronta questo problema, il rischio è quello della mercificazione, più oggi di ieri, perché oggi la potenza del capitale è molto più evidente.