–Leonardo Sciascia, 2016 – Adelphi/CdS – pp. 119 – € 6,90.
Raffinato racconto sull’irragionevole uso della pena di morte come elemento di giustizia. Un ossimoro in termini razionali. Dibattito di sopraffina filosofia intercalato nel periodo più buio e irrazionale della storia recente d’Italia. Il fascino del giudice a latere che [colpevolmente a causa del film] mi riporta alla mente i tratti di G.M. Volontè.
«… il senso che tutto fuori fosse indistintamente fascismo, che vigilanza e delazione fossero in agguato da ogni parte, a cominciare dalla sgabuzzino del portiere dello stabile, per colpire i tiepidi, i mugugnanti e, categoria al regime particolarmente invisa, gli indifferenti. E siccome ad una di queste tre categorie, o a tutte e tre secondo i momenti e gli umori, appartenevano quasi tutti gli italiani…» [p. 84]
«Ma mi conforta questa fantasia: che se tutto questo, il mondo, la vita, noi stessi altri non è, come è stato detto, che il sogno di qualcuno, questo dettaglio infinitesimo del suo sogno, questo caso di cui stiamo a discutere, l’agonia del
condannato, la mia, la sua, può anche servire ad avvertirlo che sta sognando male, che si volti su un altro fianco, che cerchi di avere sogni migliori.»