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Randagio di città



Talvolta si muore senza accorgersene, volgi lo sguardo per un istante e il silenzio ti prende in mezzo alla fronte. Le voci che nulla sanno dire intonano un canto sterile, e passeggiano sommesse per la strada. Senza correre rischio alcuno, occhi bassi, cuore in cassaforte, nella paura di perdere attendono la morte.
Sono un cane randagio, bastardo di paese venuto a nascondersi nel cuore oscuro di questa città. Dove tutto il mondo a vista d’occhio santifica i colli e recita salmodie antiche. Per le vie s’ascolta nitida l’eco della liturgia di millenni, che rincorre costumi, e nomi, e azioni, e negazioni.
Sono un cane randagio, bastardo di paese, venuto in città per ritagliarsi un guaito migliore. Eppure i rumori della metropoli soffocano ogni respiro e nelle notti d’inverno mi ritrovo a latrare.
Correggo errori altrui e dei miei non ho più coscienza. Scrivo di notte, nei ritagli di tempo, eppure non m’alzo con l’intento di farlo. Mi ritrovo una musica sorda che sale su dalle mie dita, quasi fossi un pianista, ma suonare non so. Batto, m’abbatto, martello, compongo e scarico raffiche di parole sui tasti di un pianoforte muto, e riempio il silenzio della pagina bianca con parole che ancora non hanno una voce comune, da lasciar per la strada.
Sono un cane randagio, bastardo di paese venuto in città per nascondere al mondo la sua solitudine.

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