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Renzo Paris

“Cinque domande, uno stile”, ospita lo scrittore Renzo Paris. Tra le sue numerosissime pubblicazioni, ricordiamo “Cani sciolti” (1973, Guaraldi poi 2016, Elliot), “Ultimi dispacci della notte” (1999, Fazi), “Ritratto dell’artista da vecchio” (2001, Minimum fax), “Alberto Moravia. Una vita controvoglia” (2013, Castelvecchi), fino ai recenti “Miss Rosselli” (2020, Neri Pozza) e “Pasolini e Moravia. Due volti dello scandalo” (2022, Einaudi).

 

 

Quando accade, quando un’idea, l’Idea, giunge e prende forma, si rappresenta nel suo immaginario, pronta ad essere modellata per diventare una storia, che sensazione si prova?
L’idea di un libro, sia esso un romanzo, un saggio o una poesia, arriva quando qualcosa muore. Scrivere è un modo di elaborare un lutto, mescolando gli anni felici a quelli maledetti, come mi è capitato anche in “Pasolini e Moravia,due volti dello scandalo”.(Einaudi stile libero) in uscita il primo marzo. I libri così diventano ombre del nostro inconscio.

La consapevolezza che la parola appena scritta costituisca la conclusione di un racconto è evidente o necessaria?
Per concludere un racconto c’è bisogno del rispetto della sua struttura. Fu teorizzata da Umberto Eco l’opera aperta, ma dopo con “Il nome della rosa” dovette ricredersi.

 

C’è stato, nel suo percorso di vita, netto e distinto, un momento di scelta in cui ha affermato a sé stesso “devo scrivere?”
Alle elementari mandavo a memoria versi di grandi poeti. A nove anni, durante la lunga permanenza nel mio letto per una malattia oscura, scrissi la mia prima poesia sulla morte di un amichetto che per inseguire il suo giocattolo finito in un fosso si introdusse sotto un ponticello, soffocando. Allora mi piaceva molto Pascoli che di morte se ne intendeva. Mi sono sentito “chiamato” molto presto. Ma si sa, molti i chiamati e pochi gli eletti, ahaha.


Lo stile è un passaggio che ciascun autore percorre, può in qualche modo divenire un vincolo?
Lo stile è la voce antica che detta a tutti i grandi poeti, una voce senza inflessioni, atona. Per mettersi in ascolto della voce c’è bisogno del massimo silenzio. Basta una porta che cigola per allontanarsi. Esige rispetto totale.

In quale misura crede che la letteratura oggi riesca ad incidere nella società e con quale forza lo scrivere costituisca un gesto politico?
La letteratura italiana contemporanea è consolatoria e terapeutica. Io sono rimasto a quando nel Novecento i grandi credevano che fosse il sale della terra. L’incidenza politica avviene quando la fiction viene scartavetrata e appare la verità. A maggio uscirà un mio memoir intitolato “Il picchio rosso” su una domenica degli anni Cinquanta quando furono uccisi due braccianti nella piazza del mio paese dagli emissari di Torlonia e dei fascisti del MSI.. Ma il libro che ebbe una incidenza politica è stato “Cani sciolti” del lontano 1973.

 

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