Dove si canta della bellezza e dell’arte e del viaggio. Dove si fugge alla morte.
«E sognare è vieppiù lo scrivere, lo scriver memorando del passato come sospensione del presente, del viver quotidiano […] Perché la vecchiaia è una malattia quando in giovinezza nulla s’è innestato e si rimane sterili, soli e infelici. Ora son qua, vecchio e carico di tutti i miei ricordi […] Questa è la libertà e insieme la condanna del brigante, di viaggiare sempre e di sostare per strade scognite, in luoghi ascosi, lontano, sempre lontano dalla vita, dalla gente, con la scorreria in essa qualche volta per ragioni di sopravvivenza. Come il romito, il santo, il vicerè o l’artista […] Com’è ambiguo, com’è incomprensivo questo molesto impulso, questo sentire intenso che chiamiamo amore […] Così ora capisco coloro che viaggiano, capisco gli eterni erranti, i nomadi, i gitani: vivono ancor più dei sedentari, dilatano il tempo, ingannano la morte […] stiamo ai margini, ai bordi della strada, guardiamo, esprimiamo e, talvolta, con invidia, con nostalgia struggente allunghiamo la mano per toccare la vita che ci scorre per davanti.»