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Roberto Alajmo

Roberto Alajmo 

 

 

 

Si inaugura oggi la rubrica “Cinque domande, uno stile” nella quale attraverso poche risposte ogni autore traccia un breve percorso di sé.
Apre il cammino di questo nuovo appuntamento Roberto Alajmo. Scrittore, giornalista, drammaturgo, direttore del “Teatro Biondo” di Palermo dal 2013 al 2018, e di Palermo e della palermitanità amante e ironico osservatore. Tra le sue numerose opere ricordiamo “Cuore di madre” (2003, Mondadori), “Palermo è una cipolla” (2005, Laterza) fino al recente “L’estate del ‘78” (2018, Sellerio).

Quando accade, quando un’idea, l’Idea, giunge e prende forma, si rappresenta nel suo immaginario, pronta ad essere modellata per diventare una storia, che sensazione si prova?

È una sensazione ambivalente. Da una parte esaltazione: posso ricominciare a scrivere. Dall’altra avvilimento: devo ricominciare a scrivere.

La consapevolezza che la parola appena scritta costituisca la conclusione di un racconto è evidente o necessaria?

Io comunque sono più tipo da evidenze che da necessità.

C’è stato, nel suo percorso di vita, netto e distinto, un momento di scelta in cui ha affermato a se stesso “devo scrivere?”

Onestamente, no. C’è stato un momento in cui ho capito che era la cosa che sapevo fare meglio, e quindi conveniva fare quella.

Lo stile è un passaggio che ciascun autore percorre, può in qualche modo divenire un vincolo?

No, a patto di saper mantenere lo stile elastico, come certi muscoli. Ogni libro, ogni singolo articolo, per il fatto stesso che è scritto per un quotidiano o per un settimanale, richiede un minimo di flessibilità stilistica. L’inflessibilità appartiene solo a Dio.

In quale misura crede che la letteratura oggi riesca ad incidere nella società e con quale forza lo scrivere costituisca un gesto politico?

Incide poco, e non credo sia colpa solo dello scarso peso intellettuale degli scrittori contemporanei. Mi pare che gli spazi sulla stampa si siano impoveriti e in generale, invece, si siano moltiplicati. Il risultato è un frastuono complessivo senza qualità, in cui far sentire la propria voce diventa una questione quasi atletica. Personalmente, se non credo di avere qualcosa di veramente originale da dire, ormai preferisco restare in silenzio.

 

 

 

 

 

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