Il Rumore del tempo – Julian Barnes, 2017 – Einaudi – pp. 216 – € 11,00.
Due storie parallele. Una interiore, l’altra esteriore. Un unico protagonista, il compositore russo Dmitrij Šostakovič. Mitia. Che a giocare con le parole potrebbe raffigurarsi come una persona estremamente “mite”. Indolente, eppure guerriera. Il campo di battaglia della sua personalissima lotta è esclusivamente la mente. La mente di un musicista che tra le note e l’immaginazione creativa gode della massima libertà, libertà che si spegne d’ogni energia per tutte quelle volte che mette fuori il naso dalla mente del protagonista. Un uomo completamente soggiogato. Schiacciato dal Potere. Ora nelle vesti del dittatore-dio Stalin, ora negli abiti apparentemente più alla mano del Segretario Chruschev, l’uomo pannocchia, che prova a sdoganarlo, dopo la feroce opposizione del regime stalinista, e invece riesce nell’impresa di annetterlo completamente al Partito. La storia è un andirivieni di vorrei ma non posso, non devo, non sono capace, ed esprime la struggente fragilità di una delle figure più illuminate della musica russa.