La memoria dice quello che siamo. Ci sono occasioni in cui il ricordo diventa collettivo e si fa tradizione. Ci sono storie narrate che raccontano in che modo rocambolesco la reliquia della madre di Miryam è giunta a Castelbuono. Fino alla cima della scalinata del vecchio castello vacanziero dei Ventimiglia. E ci sono passi silenziosi, carichi di respiri e aspettative, e preghiere in attesa d’essere esaudite. Passi ordinati che procedono lentamente per le vie della cittadina in festa. Passi che s’inerpicano per le salite e nelle stradine scoscese resistono agli inciampi del destino. Gli occhi della gente che scrutano e incrociano i confratelli in cammino. In una sorta di elastico che lega tutte le congregazioni, quasi fosse un unico passo che accompagna la santa. E le divise a riconoscere l’appartenenza. Ecco, una processione segna l’appartenenza di una comunità ad un credo comune.
Perché la memoria ci dice quello che siamo.
E la memoria di fede della città si alza di primo mattino nella celebrazione della messa ogni giorno per otto giorni, dal 17 al 24 luglio e procede la sera a piccoli passi. Poi quella stessa memoria si apre, con fatica e dedizione, nella combinazione di tre chiavi che restituiscono ancora una volta la reliquia ai fedeli, come ogni anno, da secoli ormai. Attendere ogni volta con lo stesso incanto che la Santa ritorni per le strade è un atto di fede, come atto di fede e fatica è sostenere sulle spalle il peso dell’altare della “Madonna del Rosario” che s’alza da terra al suono delle campanelle, come se la musica in qualche modo lenisca il dolore.
Il giorno 26, invece, corre veloce da quasi cento anni e si colora di rumori e suoni e parole.
Poi, ritornano la memoria e l’incanto della fede.
Il reliquario si rende lucido, pronto per essere ammirato dagli occhi dei fedeli. Ancora dalla cappella giù fino al cortile, mentre la gente lentamente in viaggio, seguendo un richiamo silenzioso, sale la scalinata e attende. Chiusa in se stessa, nella propria preghiera. Nelle diverse parti della città le confraternite sono a lavoro. Il compatrono S. Guglielmo attende d’esser condotto verso il castello.
È il primo passo della processione, inizia il cammino per le strade.
Poi è il turno della madonna del Rosario, e le maschiate che riportano indietro gli orologi e il rito che impone di rimanere al di qua dell’arco.
La memoria ci dice quello che siamo, il rito ne conserva le parole.
Sono all’incirca le nove e mezzo, e i bisbigli della gente sembrano acquietarsi. Si sentono i segnali dei confratelli che in fila si ritrovano qualche passo oltre e vengono richiamati. I maestri di processione vanno avanti e indietro chiedendo l’ordine, e tutti in fila ai margini della strada, uno di fronte all’altro col coppo dal cero splendente. Il bavero a segnare la confraternita e gli occhi fissi davanti a sé, mentre sul ciglio della strada i fedeli osservano.
Il cammino non fa rumore, come i passi scalzi che pregano per la loro grazia, in silenzio.