– Massimiliano Città, 2022 – L’erudita – pp. 127 – € 17,00. “Annunciazione, annunciazione!” Carissime lettrici e carissimi lettori, faccio capolino presso le…
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Sulla rivista Risme, nel numero 1 di marzo, potrete trovare, tra gli altri, anche un mio racconto. Summertime, incentrato sulla figura di Janis Joplin. Cliccando…
Lascia un CommentoIl tempo di una canzone – Richard Powers, 2010 – Mondadori – pp. 835 – € 14,00. Tasti bianchi tasti neri. Differenze che confluiscono, fondendosi…
Lascia un CommentoCliccando sull’immagine sottostante potrete leggere il racconto “St. Lousi Blues”, pubblicato dalla rivista letteraria “Il paradiso degli orchi”
Lascia un CommentoBreve resoconto della presentazione tenutasi a Cefalù, sabato 26 maggio. Splendida e accorata relazione del professore Giuseppe Saja. Ottimi interventi dei presenti, pubblico attento e…
Lascia un CommentoCarissime lettrici e carissimi lettori, il 2018 si apre in maniera scoppiettante. Ci sono storie rimaste a lungo silenziose, tanto di quel tempo che incominci…
Lascia un CommentoI miei hanno provato in tutti modi, ma alla fine ho deciso io. La scuola m’era sempre venuta stretta, come un vestito che ti trattiene nei movimenti e li lega, e frena ogni libertà senza neppure coprirti in maniera confortevole. Certe volte hai la sensazione che ti venga a mancare l’aria, e arranchi nel vestito, e provi e riprovi ad allargare il colletto, soltanto dopo ti accorgi di non averlo, di non averlo mai avuto, forse, e il panico ti prende, perché non riesci a capire cosa stia a stringerti forte il collo. Credo sia il disagio, una presa invisibile che non ha colore né profumo, ma soffoca. Il disagio di una vita non tua che si ostinano a farti calzare.
Non appena ho potuto me ne sono uscito fuori.
Ho fatto un po’ di lavoretti in giro per la città, sono stato a zonzo, uno sbandato per molti, uno dei tanti in città. Faccendiere oggi, meccanico altre volte, perfino panettiere per qualche notte, ma gli orari, quelli lì, non riuscivo a mandarli giù, sebbene il gusto del pane appena sfornato sia una delle cose per cui vale la pena vivere in questa fogna.
Poi, ho camminato, e ho camminato parecchio per le strade di questa città, col pallino della lettura. Questo sì, m’è rimasto degli anni di scuola, tanto che mia madre me lo rimprovera ancora oggi. Su quei libri, sconci mi diceva, aveva scorto un po’ di Bukowski tra le mie carte, ne hai perduto di tempo, quando avresti potuto metterti davanti dei buoni manuali di legge e diventare migliore. Migliore forse di quello che sono, differente, ma non ho controprova, né mai ne avrà mia madre. Deve prendermi per quel che sono, e ogni santa domenica lo fa. Il pranzo concessoci dal buon dio è qualcosa cui non si può sfuggire, la scuola magari sì, ma la domenica, la domenica è sacra. E lì con mio padre a scherzare, con la malinconia nello sguardo, a ricordare di quello che ero, ragazzetto irrequieto, sgusciante per i vicoli malfamati, per i quartieri che pochi osavano sfiorare, ed io invece lì, dentro.
Conoscitore e conosciuto.
Alla fine hanno hanno chiamato la puttanella. Di certo più adatta al contesto, senza ombra di dubbio. Con occhietti e forme da pin-up, avrà la scena tutta per sé. Hanno scelto la giovane emergente, a discapito della mia decrepita vecchiaia, che sei condannata a vedere ogni giorno, mia cara. L’hanno scelta bene, niente da dire. Luccicante, pronta a raccogliere le luci dei fotografi di tutto il mondo. Lì, schierati come un plotone d’esecuzione, in fremente attesa, magari di un passo falso, una caduta, uno scivolone dei regnanti senza corona che s’accingono a debuttare. Loro, in formazione d’attacco, pronti a colpire con proiettili fulminanti, che catturano il momento, s’illudono di farlo. Stanno impalati, anche per ore, puntando, rigidi sulle gambette, in attesa. Di un qualcosa che vada storto. Perché le grandi notizie nascono da lì, lo sappiamo, dai guai. Mai che uno scoop memorabile sia venuto fuori dalle bellezze del mondo, non lo ricordo, e non penso di sbagliarmi, magari, chissà, forse, come tutto. Che dirti? Sono caduta in errore molte volte e per questo non ho mai pensato di far la morale a nessuno, né di mettermi ritta in piedi, ferma sui miei saldi principi, a predicare. Il vento avrebbe sorriso delle mie parole, ne sono certa, si sarebbe impettito sugli alberi, sfrondandoli del superfluo, di tutto quel superfluo che le mie parole avrebbero caricato per la strada, la mia. Ho semplicemente provato a viverla questa donnaccia d’esistenza, che molto promette e poco concede, e ho cantato una manciata di blues, e senza ombra di smentita, non amo le false modestie, ecco, posso affermare che qualcuno di questi m’è uscito fuori veramente bene, sfido a farlo meglio di me, a cantarlo, dico, a viverlo, forse. Ho scelto mia cara, e sbagliato. Ma in una vita degna d’esser chiamata tale, in una vita vissuta, come dico io, è necessario sbagliare. La misura dell’errore ti da la grandezza della scelta, e poco male che le cose vadano a puttane, ne siamo
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