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Tag: jazz

In volo, oltre la polvere

Dicono che non puoi sollevarti da terra. Dicono che non puoi nemmeno provarci se nasci col colore della mia pelle. Dicono che rimarrai schiacciato col ventre sull’asfalto. Dicono che gli uomini non sono tutti uguali. Dicono che c’è un dio maggiore ed altri minori, dicono che c’è un unico credo e le altre sono semplicemente mistificazioni.
Dicono tante puttanate in giro, e molti danno loro retta.
Dicono che mio padre era un poco di buono. Teatrante da quattro soldi in giro per le strade, lestofante dal mestiere incerto.
Dicono che m’abbandonò in fasce.
Dicono anche che mia madre si divertisse a far di me un’attrazione da circo.
Dicono tante puttanate in giro.
Dicono che l’eroina non è per gente in gamba. Dicono che se ti buchi, beh, allora è certo hai soltanto acqua nel cervello, e quell’acqua la porti in ebollizione fino a fonderti del tutto. Non dicono che nonostante ti ritrovi ogni sera a suonare in mezzo a centinaia di persone, te ne torni nella camera d’albergo solo come un cane randagio, senza nessun cuscino che tranquillizzi la tua inquietudine.

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Eleonor e le gardenie

Ed eccomi nuovamente qui. Ancora una volta. Mai abbastanza. Per quanto si possa dire mai più, non avrai la certezza di chiudere. Di darci un taglio. Di voltare pagina una buona volta. Non è così che vanno le cose quando ti ritrovi a dipendere. Accade con le persone, con i ricordi, con quello che ci ostiniamo in maniera patetica a chiamare emozioni. Con la roba. Non è come quando al mattino ti alzi e dici mi va di farmi un toast, ed ecco bell’e pronto in pochi minuti, o magari dici preferisco sorbirmi un bel caffèlatte, pentolino sul fuoco latte quanto basta e un goccio di caffè memoria dell’altro ieri. Sul fuoco ti ritrovi tu, e poco per restare memoria. Non è così semplice, non lo è affatto.

Smettere.

Ché in fin dei conti tu pensi di farlo, e ci riesci anche. Giorni, settimane, mesi. Perfino anni, e poi d’improvviso, come un temporale ad agosto rieccoti lì. In una surreale e grottesca questua. Racimoli ogni spicciolo, ti frughi lungo le tasche del nuovo cappotto alla moda che hai trovato nel tuo già ricco guardaroba e via. Poi finisci di cercare spiccioli, ché sai di non averne più. Ed inizi ad elemosinare tra la gente che ti circonda, chiedendo a quelli che pensi ti possano voler bene.

A quelli che t’amano.

E talvolta nei rari momenti di lucidità, quando sei presente a te stessa, finisci per chiederti stupidamente come una bimba di fronte l’esistenza di babbo natale, ma m’amano davvero? Tutti in fila, davvero m’amano? E poi, con un sorrisetto che non saprei definire concludi che sì. T’amano. T’amano fino a tal punto da fornirti da sé di roba. Ti riempiono come un tacchino farcito e tu sei bell’e contenta. Fino alla prossima dose. Io ho smesso, e poi ripreso. Adesso sono qui. Con la profonda convinzione di sapere che è l’ultima volta. L’ultima volta che ci casco. Ma anche prima, prima che finissi in questa lettiga d’ospedale m’ero ripromessa la stessa cosa. Le mie promesse non valgono granché, me ne rendo conto. Mento a me stessa, anche quando non ce ne sarebbe di bisogno.

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You gotta pay the dues, if you wanna sing the Blues



Andavamo in giro per gli stati. Talvolta ci scambiavano per zingari in viaggio. Come piccole carovane multicolori e strombazzanti passavamo per i centri delle cittadine incitando la gente a uscirsene fuori dalle abitazioni misere. Erano periodi di miseria in cui tutto sembrava piegarci le ossa verso la polvere delle strade. Pochi vestiti ad addobbare molte anime in pena, senza un lavoro certo, senza una paga certa per far fronte a certi debiti, senza un vita certa per far fronte a certi peccati.

Andavamo in giro per gli stati, ed era un bel viaggiare.

Carovane di musicisti, mai sempre gli stessi. C’era sempre qualcuno che abbandonava lungo il viaggio. E dava il bel servito. Magari aveva in qualche ospedale sperduto del profondo sud la moglie sofferente di doglie, magari aveva ricevuto un offerta migliore, una scrittura in qualche orchestra di rilievo, magari aveva finito i soldi per la roba e senza non era nemmeno capace di dare un passo, magari aveva litigato con qualcuno e mandato a fanculo il resto.
C’era sempre qualcuno che abbandonava il viaggio, come se morisse in quel nostro cammino comune.

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