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Tag: la mie testa è il mio rifugio

Maschere

Ci sono maschere che hanno storie da nascondere, altre coprono vicende da dimenticare, altre ancora indomite continuano la pantomima. Ci sono maschere che raccontano, altre…

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Silenzio

Il silenzio s’insinua, e copre i miei pensieri. Potessi trattenerlo tra le dita, proverei a sbriciolarlo, come da bambino facevo con le pannocchie. Vedere scivolare…

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Aforismi del correttore di bozze (1998-2011)


Quando si bruciano lettere il vento dovrebbe essere nei paraggi. Lì a raccoglierle, per non disperdere del tutto la vita che hanno raccontato.
27 giugno

I sogni sono come una pedata nel culo, devono spingerti a smuoverlo!
26 giugno

Ogni trasformazione o cambiamento non è altro che lo svelamento a se stessi di quel che si è.

Non sono stato mai così solo come adesso in mezzo a tutti voi.
24 giugno

Vorrei dormire un paio d’anni

Accade di ritrovarci tra le mani bricioli di felicità che sdegnati lasciamo scivolare a terra, in attesa di un pasto migliore. Poi, volgiamo lo sguardo altrove e la vita finisce. Soltanto allora ci rendiamo conto d’averla vissuta aspettando.
28 maggio

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Lettera a me stesso


Carissimo me, forse in qualche modo continuo a scriverti ma non riesco a lavarmi il cuore, né le ferite. Neppure il puzzo di fritto che porto addosso dall’infanzia scivola via, per quante parole riesca a mettere in fila.
Seduto.
Qui, gambe distese, schiena piegata in barba alla perfetta postura, e braccia tese, e mani in cerca di una donna distante. Seduto a sentire l’eco di un battere incessante. E non è la tastiera che freme, ma i miei denti che non la smettono di tremare. Forse il freddo della verità li tiene svegli, a batter il tempo di una musica che non riesco ancora a capire.
Non sono stato in grado di metter su un centesimo, neppure di decorare la mia bacheca con un titolo onorifico, uno di quelli che faccia gridare meraviglia. Ammirazione, e lode. Figlio di viandanti caduti in disgrazia. Nell’errore di un destino migliore che non hanno deciso d’avere, eppure poche lacrime e sospiri d’un vagito a venire hanno tracciato la strada del loro cammino.
Ho fatto migliaia di lavori, come prima mio padre, e prima ancora mio nonno, e credo forse suo padre. Ho lavorato nei giorni di festa, ma non ho concluso mai la paga d’un mese. Fuggito via prima che da qualche parte una stridula voce potesse dire “bene, assunto, confermato, ci vediamo”. Via, prima che il giorno divenisse prigione del mio disordine. Via, in panne, come un’auto dal fascino antico che non ne vuol sapere di fare strada e andare.

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