“… innanzitutto è sempre povero e non è affatto delicato e bello come si dice di solito, ma al contrario è rude, va a piedi…
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All’epoca in cui si era soliti discutere per la strada, passeggiando verso l’agorà, abituale luogo di ritrovo delle menti più eccelse e dei mercanti più accorti della città, uomini rimanevano assorti in dissertazioni più o meno profonde sull’essere e il mondo, il denaro e l’affare, la bellezza e la sua idea; all’epoca in cui l’uomo sapeva di poter rispecchiare la natura in tutto quel che faceva, all’epoca in cui il dotto scherniva il fango e l’argilla e le mani che la plasmavano, all’epoca in cui tutto era imitazione, secondo canoni e armonie, e per nulla creazione, all’epoca in cui la musica era numero e non suono, a quell’epoca dunque, viveva un bimbo lontano da quel mondo, escluso dai rituali della città, il piccolo Meloi, privo della parola e senza riflesso negli occhi, si aggirava tentoni per i vicoli del borgo. La madre, una donna mite e gentile, lo accudiva, per quanto le era possibile con sentimenti che spesso si confondono: dedizione e amore. Il padre, un uomo immerso e rapito dall’alta società, impegnato su grandi orizzonti, per nulla partecipava alla crescita, e alle conseguenti vicissitudini del figlio.
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