– Tom Waits, Minimum Fax – pp. 409 – € 16,00. Tom Waits l’ho conosciuto una sera d’inverno. Alla Tv. Trasmettevano un film intrigante, “Smoke”,…
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La pioggia scendeva fitta e lieve sulla strada. Goccia a goccia estenuante ritmo della natura, in un concerto che il caos metropolitano non permette di ascoltare. L’assenza del vento la faceva cadere dritta sulla faccia, la sua. Camminava incurante, senza ombrello, nè altro tipo d’indumento che potesse metterlo al riparo dal piscio del cielo. Camminava mentre la gente lo scrutava con occhi sospettosi.
Il correttore di bozze continuava nel suo andare, e se qualcuno avesse potuto mirarlo da vicino sarebbe rimasto ancora più di stucco. Camminava nella pioggia e a ogni passo ne seguiva il ritmo. Camminava e abbozzava un sorriso, come in preda ad una crisi isterica.
Così dava l’impressione fosse.
Così non era.
Poteva dirsi felice, in qualche modo.
O pieno di soldi. Era stata una giornata di grazia.
Considerava che mai negli ultimi anni s’era ritrovato in tasca tutto quel denaro. E a pensarci bene non è che nel corso della vita, almeno fino ad allora, fosse stato avvezzo a maneggiarne.
Entrò col solito scossone alla porta, che non ne voleva sapere d’aprirsi, da sempre. Anche lei, come tutto ciò che lo circondava, chiedeva d’esser presa di forza. Entrò, scalciò come un cavallo impettito dietro, accese lo stereo low-fi che mandava ogni sera le solite 23 canzoni di Tom Waits, da anni ormai, senza che avesse mai provato a impararne i testi, o cambiar disco. Si lasciò andare sulla poltrona, lanciando in aria libri e cartacce che l’avevano comodamente occupata durante il giorno, come fossero stati gatti domestici. Ma non aveva gatti, né cani, né pesci, fiero diceva d’esser l’unico animale che avrebbe potuto tenere in casa.
Era stata una giornata faticosa, intensa, piena di rincorse a perdere. Per un attimo la mente era andata agli anni universitari. Al tempo in cui le ore s’accavallavano una sull’altra nello spirito e nel corpo fino a quando, alle prime luci dell’alba, scivolava spossato in un letto che non era suo. Ma non aveva che vent’anni e tutto gli era concesso, almeno così credeva, allora. S’infastidiva al pensiero che quella giornata appena trascorsa non fosse più lo standard della sua quotidianità. Un moto d’insofferenza gli segnava le mani. Non capiva se tremavano per la stanchezza o per la stizza. Sentiva gli occhi pieni, così le gambe, e sapeva anche che difficilmente l’indomani avrebbe sopportato il peso di un andirivieni frenetico.