“Cinque domande, uno stile” entra in casa editrice. TerraRossa Edizioni è un’interessante e vivace realtà editoriale pugliese. Tra le varie pubblicazioni, ricordiamo “Rogozov” di Mauro Maraschi, “Pensa il risveglio” di Alessandro Cinquegrani, “Il pantarèi” di Ezio Sinigaglia, “Binari” di Monica Pezzella, “La casa delle madri” di Daniele Petruccioli, “La meravigliosa lampada di Paolo Lunare” di Cristò, fino al recente “Sfondate la porta ed entrate nella stanza buia” di Enrico Macioci. Ci ha accolto il direttore editoriale Giovanni Turi che ha risposto alle nostre domande.
Qual è lo spirito che caratterizza il suo essere editore?
Libero. Amo ciascuno dei nostri titoli: non ho mai pubblicato un libro solo per opportunità o convenienza.
Quale peculiarità deve avere un testo per poter essere pubblicato?
Per far parte del catalogo di TerraRossa Edizioni deve essere caratterizzato da una voce autoriale riconoscibile, da uno stile peculiare messo però al servizio della narrazione; credo che non si possa ambire a fare letteratura senza restituire centralità alla scrittura e questo vale sia per la collana di inediti (Sperimentali) sia per quella di ripubblicazioni (Fondanti).
Qual è il libro che ha amato di più da lettore e quale le ha dato maggiori soddisfazioni da editore?
Da lettore potrei rispondere in modo diverso ogni volta che mi venga posta questa domanda: Mentre morivo di Faulkner? Furore di Steinbeck? La pelle di Malaparte? La vita agra di Bianciardi? Sopra eroi e tombe di Sabato? 2666 di Bolaño? Horcynus Orca di D’Arrigo? Works di Trevisan? Il giardino delle mosche di Tarabbia? L’arte della gioia della Sapienza? Ieri della Kristóf? Tempo di seconda mano della Aleksievič? La luce prima di Tonon? 37.2 al mattino di Djian? Ok, mi fermo ma vorrei proseguire.
Da editore, ripeto, ogni singolo titolo che pubblico mi dà la soddisfazione di portare in libreria un testo che ritengo importante e un autore di talento. Se invece si intende da un punto di vista meramente commerciale, i tre best-seller di TerraRossa sono stati La casa delle madri di Daniele Petruccioli, La meravigliosa lampada di Paolo Lunare di Cristò e Il pantarèi di Ezio Sinigaglia.
C’è stato, nel suo percorso di vita, netto e distinto, un momento di scelta in cui ha affermato a se stesso “voglio vivere tra i libri e di libri?”
Sì, quando da studente di fisica sono andato casualmente ad assistere a una lezione di letteratura italiana tenuta dal professor Marco Marchi. Quel pomeriggio stesso ho cambiato facoltà e il percorso della mia vita – ovviamente pentendomene non meno di tre volte al giorno da allora.
In quale misura crede che la letteratura oggi riesca ad incidere nella società e con quale forza lo scrivere e di conseguenza l’editare costituisca un gesto politico?
Molto ma in maniera più sottile e indiretta di quel che si crede. È grazie ai libri, ad esempio, che mi sono affrancato dall’educazione cattolica e borghese che avevo ricevuto in famiglia; è grazie ai libri che ho imparato a mettere sempre in discussione il mio punto di vista per provare ad adottare quello diametralmente opposto; è grazie ai libri che ho sempre presente quanto limitati siano il mio sapere e la mia conoscenza della gente e del mondo; è grazie ai libri che ho superato indenne alcune notti di solitudine e pomeriggi di inedia. E se su di me la letteratura ha potuto tutto questo, credo che possa altrettanto su chiunque. Ogni gesto che in qualche misura raggiunga gli altri ha poi una valenza “politica” e la scrittura necessita sempre di essere vivificata da un lettore (che talvolta può persino coincidere soltanto con l’autore), così come l’editoria è giocoforza rivolta a un pubblico e deve assumersi questa responsabilità, non portando avanti un’ideologia, ma cercando di non rinunciare a sfidarlo e stimolarlo.