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Vanessa Ambrosecchio

Oggi la rubrica 5 domande uno stile ospita Vanessa Ambrosecchio. Scrittrice palermitana che dopo l’esordio con “Cico c’è” (2004, Einaudi) è in libreria con “Cosa vedi” (2018, Il palindromo)

 

 

Quando accade, quando un’idea, l’Idea, giunge e prende forma, si rappresenta nel suo immaginario, pronta ad essere modellata per diventare una storia, che sensazione si prova?

Quella che immagino abbia provato Newton quando gli è caduta la mela sulla testa. L’idea mi colpisce come una freccia, un proiettile, una pietra, la sento come arrivare da fuori, come m’investisse. Naturalmente non è più che un embrione, una nuce, è poi necessario un tempo lungo perché si dispieghi e prenda forma. Quello poi sta a me, è il lavoro mio, ma l’inizio è come se lo dovessi a una forza che viene da fuori.

La consapevolezza che la parola appena scritta costituisca la conclusione di un racconto è evidente o necessaria?

Necessaria. O almeno è questa l’ambizione e l’obiettivo della mia disciplina di scrittore: non una parola che non sia necessaria, e non solo nella conclusione.

C’è stato, nel suo percorso di vita, netto e distinto, un momento di scelta in cui ha affermato a se stessa “devo scrivere?”

A vent’anni. Avevo coltivato per tutta l’adolescenza la passione per la scrittura e quella per la fotografia. Un giorno, mentre insistevo a immortalare un paesaggio, mi paralizzò la netta impressione che ciò che consegnavo alla pellicola non avrei più saputo ridirlo a parole: l’una passione avrebbe tolto terreno all’altra. E sentii in quell’ultimo scatto cosa volevo di più.

Lo stile è un passaggio che ciascun autore percorre, può in qualche modo divenire un vincolo?

Lo stile è una ricerca continua, un continuo misurarsi con forme, generi, destinatari diversi, un esercizio di adattamento, anche, dunque mai dovrebbe vincolare. È appunto nel provare a essere sempre diverso, che finisci per imparare a riconoscere le tue costanti. Perché prima di essere una questione di forma, è la qualità dello sguardo che posi sul mondo.

In quale misura crede che la letteratura oggi riesca ad incidere nella società e con quale forza lo scrivere costituisca un gesto politico?

La grande letteratura detiene e ingenera la facoltà non solo di concepire il possibile, come possono fare la filosofia, la scienza o il pensiero politico, ma di dargli sangue e respiro dentro di noi. Può muovere idee e passioni sia a livello individuale che collettivo, ma deve essere grande davvero. Altrimenti verba, per quanto scripta, volant.

 

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