Si racconta di una bambina di Milano che in realtà è di Napoli, si affronta l’idea della morte come costituente dell’esistenza e si scava tra i ricordi che non sempre vengono in nostro aiuto e talvolta ci traviano. Starnone scrive e ci solleva mentre ritrae con sublime dolcezza la figura della nonna. Con parole traccia il solco delle memorie, quelle parole che si arrotolano, rimbalzano, svicolano tra segni che vorrebbero incatenarle, scivolano sui sentieri del non detto e poi si ritrovano tra le pagine, come un rifugio.
Perchè “Quel poco di veramente vivo che facciamo vivendo resta fuori dalla scrittura” [p. 142]
“Chi fatica, guagliò, non è mai cattivo – mi istruì -; è chi non fatica e s’ingrassa col la fatica degli altri che è nupiezzemmèrd; ah quanti piezzemmèrd ci stanno” [p.9]
“Se sai della morte non cresci più” [p.128]
“… il piacere che stravolge il corpo anche se scrivi con l’acqua sulla pietra in un giorno d’estate, e chi se ne fotte del consenso, del vero, del falso, dell’obbligo di seminare zizzania o diffondere speranza, della durata, della memoria, dell’immortalità e tutto… quel piacere è fragile stenta a risalire la china delle vere priorità” [p.142]